Musica in parole


Il cappello di paglia di Rota

Il nome di Nino Rota è noto al grande pubblico in quanto legato al cinema, ai prestigiosi premi - tra cui un Oscar - per le sue famose colonne sonore di celeberrimi film (“Il gattopardo” “Il padrino” “Il Casanova” tanto per citarne alcuni di una lunga, importante lista).

Il compositore si è però cimentato con successo in altri generi musicali e il Teatro alla Scala, dopo la pausa estiva ha ripreso la programmazione affidando ai giovani della sua Accademia l’allestimento di una divertente commedia brillante che Rota scrisse nel 1945.

“Il cappello di paglia di Firenze” si basa su un’opera teatrale ambientata in un’immaginaria Parigi del XIX secolo: nel giorno del suo matrimonio il protagonista deve affannarsi a cercare un cappello di paglia uguale a quello che il suo cavallo ha accidentalmente mangiato. Un vero guaio per la proprietaria del cappello che non può rivelare l’accaduto al marito. Questa ricerca disperata dà luogo a una serie di situazioni esilaranti che coinvolgono una varietà di personaggi eccentrici.

La musica di Rota ben fa risaltare i tratti salienti della commedia; introduce diversi temi musicali a caratterizzare personaggi e situazioni, temi che vengono ripresi e variati nel corso dell’opera creando un senso di continuità e sviluppo musicale.

L’orchestrazione è vivace, spumeggiante; gli ottoni e i legni in particolare vengono utilizzati per creare effetti di umorismo scanzonato.

Un divertissement che ha avuto nel 1958 la memorabile messa in scena di Strehler, versione riuscitissima e riassunta dai giornali dell’epoca come “un cappello pieno di allegria”.

L’opera aveva debuttato nel 1955 a Palermo ma era stata composta dieci anni prima, negli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale con l’unico scopo, come scrisse Rota stesso in una lettera, “di rispondere a una interiore esigenza, il desiderio di un sorriso” in quell’orrendo periodo.

Va aggiunto che per la stesura del libretto il Maestro si avvalse della collaborazione della madre, la musicista Ernesta Rinaldi. “Non avevamo altro in mente che portare una nota di colore...Volevamo divertire...con melodie orecchiabili...e un tantino di spregiudicatezza boulevardière”.

Ne risultò un capolavoro di inventiva e leggerezza addirittura definito “l’unica farsa italiana del Novecento” dal musicologo Fedele D’Amico.

Eccone infine un minuscolo assaggio col trailer diffuso dal Teatro alla Scala.

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