Vita d'artista


R.A.F.

“Tutte le immagini sono statiche grigie, per lo più sfumate. La loro presenza rappresenta l’orrore e il rifiuto insopportabile di rispondere, di spiegare, di dare opinioni... Esse provocano attraverso la loro mancanza di speranza e desolazione, il loro non prendere posizione”: così dichiara Gerhard Richter riguardo alla serie di ritratti che fa ai componenti della banda Baader-Meinhof, alias Rote Armee Fraktion, meglio nota come «R.A.F.» . 

In particolare il ritratto di Ulrike Meinhof, che morì impiccata in prigione, è di grande pathos. La Commissione d’inchiesta internazionale sostenne inizialmente la tesi dell’omicidio, portando anche alcuni dati medici che facevano pensare ad atti di violenza subiti durante la detenzione. Alla fine, però, tutti i rapporti archiviarono il caso come suicidio. La si vede riversa sul pavimento, post-mortem, in tre piccoli quadri che ripetono il soggetto, con piccole essenziali variazioni, in cui l’angoscia di allora non sembra mai scomparsa. Un capolavoro.

Come le BR con Aldo Moro, anche la R.A.F. aveva preso in ostaggio Hanns-Martin Schleyer, dirigente d’industria e funzionario tedesco, che venne sequestrato e dopo 43 giorni di prigionia venne ritrovato morto in un bagagliaio di un’auto a Mulhouse in Francia. Nelle sue “Strategie fatali” del 1983, Baudrillard scrive che a forza di interrogarsi sulla mostruosità del terrorismo, ci si dovrebbe domandare se non discende da una tesi di responsabilità universale anch’essa mostruosa e terroristica nella sua essenza.” La nostra situazione paradossale è la seguente: poiché niente ha più senso, tutto dovrebbe funzionare alla perfezione”. Poiché non vi è più un soggetto responsabile, tutti sono responsabili, ogni anomalia deve essere giustificata, ogni irregolarità deve trovare il suo colpevole, e questo a suo parere è una forma di terrore. Una sorta di isteria delle responsabilità, che è essa stessa una conseguenza della scomparsa delle cause e dell’onnipotenza degli effetti.

Nel testo afferma provocatoriamente che siamo tutti degli ostaggi e tutti dei terroristi, perché questo circuito ha rimpiazzato l’altro, quello dei padroni e degli schiavi, quello dei dominanti e dei dominati, quello degli sfruttatori e degli sfruttati. “Finita la costellazione dello schiavo e del proletario, è ormai subentrata quella dell’ostaggio e del terrorista. Finita la costellazione dell’alienazione, siamo ormai in quella del terrore. E’ peggio dell’altra, ma almeno ci libera dalle nostalgie liberali e dalle astuzie della storia”. Parole forti, e ancor più forte il pensiero che il terrorismo non esista in sé come atto politico originale, ma è ostaggio dei media, o meglio, senza i media il terrorismo non esisterebbe.

Il cervello di Ulrike Meinhof fu tenuto per 25 anni nell’Università di Magdeburgo, dopo un’autopsia che avrebbe potuto dimostrare che, a causa di un tumore al cervello asportato, non avrebbe avuto la facoltà di intendere e di volere, e magari di rivedere la sentenza.

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