Pensieri e pensatori in libertà


Perché chiamano i filosofi a parlare di intelligenza artificiale?

Le librerie reali e virtuali sono zeppe di testi sull’intelligenza artificiale e non c’è più incontro, meeting, festival che non ne parli. Spesso, i filosofi o, meglio, i professori di filosofia – delle superiori e delle università – vengono invitati ai panel nelle vesti più diverse: esperti di etica, di logica, di informatica, di design, di sicurezza, di previsioni estetiche ed etiche, sociali e politiche.

Un collega francese mi dice che viene invitato 3 volte al mese e che lo considera una nemesi dell’essere stato schivato per anni come quello delle “chiacchiere” o della “fuffa”. Tuttavia, confessa, “mi sembra che stavolta di dire più fuffa del solito”.

A mio avviso, si sbaglia. Il fatto che si invitino i filosofi, invece, dice molto dello sviluppo della scienza. In un bel libro – Il mestiere di pensare (Einaudi 2014) – Diego Marconi, una delle figure chiave della filosofia analitica italiana, osservava che spesso la filosofia è ingiustamente considerata inutile e di scarso successo. Marconi osservava che è una prospettiva storicamente sbagliata. Tutte le discipline sono nate o hanno avuto un decisivo impulso iniziale come filosofia: la fisica con Talete, la matematica con Pitagora, la biologia con Aristotele, l’informatica con la logica ottocentesca e novecentesca di Boole-Peirce-Russell-Wittgenstein. Spesso, scienziati di momenti decisivi sono stati anche filosofi o soprattutto filosofi o teologi. Solo per fare qualche esempio: Ruggero Bacone che si trova all’inizio delle scienze empiriche, Cartesio che rappresenta uno snodo cruciale – nel bene e nel male – per la matematica, Galileo che si era ben espresso anche con i suoi dialoghi filosofici, Newton che credeva di rimanere nella storia per i suoi studi teologia piuttosto che per quelli di fisica.

Ciò che sta succedendo con l’intelligenza artificiale è che siamo all’inizio di una disciplina o, se volete, in un momento decisivo della rivoluzione digitale. In questi momenti si interrogano i filosofi perché il tema è vago e complesso, e non si è ancora evoluto in una disciplina determinata, specifica e autonoma. La filosofia è il modo che abbiamo di essere coscienti della realtà. Chi se ne occupa professionalmente è abituato a lavorare con i concetti, ad articolarli, espanderli, generalizzarli, restringerli, collocarli, denominarli. In questi momenti è indispensabile perché è il tema che deve essere chiarito. Chi dovrebbe farlo? Ci sono gli informatici, i sociologi, i giuristi, i medici, gli ingegneri. Tutti costoro si occupano di una parte del problema sollevato dall’intelligenza artificiale ma ogni approccio risulta sempre parziale perché l’intelligenza artificiale si applica trasversalmente a tutto ma non rientra del tutto in nessuna categoria specifica. Siamo a uno stadio iniziale, incoativo, di una scienza che per ora non ha individuato ancora la sua specificità. Per questo interroghiamo i filosofi, sperando che le loro domande trovino la strada giusta per la sua autonomia.

Osservare il fenomeno degli studi sull’intelligenza artificiale da questo punto di vista ci dice anche qualcosa ai metodi scientifici. Contrariamente a quanto spesso si dice, le discipline hanno un loro metodo specifico del tutto separato dalle altre solo a livello divulgativo. La favola delle discipline “scientifiche” separate da quelle “umanistiche”, è per l’appunto un racconto fatto da idealisti che volevano le seconde, le scienze dello spirito, superiori alle prime o da positivisti che ritenevano, viceversa, che le scienze fossero quelle “esatte” e tutto il resto “chiacchiera”. Chi fa ricerca ad alto livello sa che tutte le scienze si parlano e si confrontano: non c’è nessuna ricerca di punta delle scienze “esatte” che possa fare a meno di valutazioni estetiche ed etiche (per non parlare di quelle politiche e religiose) così come non c’è nessuna espressione umanistica o artistica che possa fare a meno di critica, calcolo e precisione. La divisione è uno dei tanti retaggi della cultura otto-novecentesca e speriamo che la rivoluzione digitale e gli studi sull’intelligenza artificiale possano essere l’occasione per superarla, soprattutto per quanto riguarda programmi scolastici ed educazione.


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In questo numero hanno scritto:

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Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
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Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro