Ci siamo conosciuti venticinque anni fa, perché entrambi eravamo in quella che allora si definiva “scuderia” dello Studio Cannaviello, avamposto della pittura contemporanea in Italia, che puntava molto sui giovani. All’epoca Enzo Cannaviello aveva raccolto intorno a se artisti talentuosi e oltre Galliano, vi erano Pieluigi Pusole, Federico Guida, Francesco De Grandi, Luigi Presicce, Federico Pietrella, Davide La Rocca e le “ragazze”, io, Valentina D’Amaro ed Elisabetta Vignato. Cannaviello aveva rapporti anche con la giovane pittura internazionale, penso alle belle mostre di Bas Meerman, Santiago Ydanez, Till Freiwald.
Negli anni ci siamo poi incontrati occasionalmente, ricordo l’inaugurazione della galleria di Ermanno Tedeschi a Tel Aviv, con una mostra dal titolo “.World”, curata da Luca Beatrice. Ci ritrovammo lì, con spirito diverso, il suo lavoro però era sempre tosto, interessante. Ciò che è stupefacente in Galliano è la resistenza, la sua ostinata volontà di sognare e di creare nuovi mondi: la sua pittura non si è mai opacizzata e rimane ruvida e intensa, dal carattere impetuoso. E questa grande energia si libera attraverso un sistema di colore estremamente originale e prismatico, nelle quali le tinte applicate fianco a fianco, ciascuna nella sua massima violenza, producono un effetto di verità, sensazionale e nuovo. Non è scontato rimanere così limpidi nel tempo, e così attuali.
Sono lieta che abbia deciso di fare una personale nello spazio di Federico Rui perché, oltre che essere anche la mia galleria, è uno luogo di approfondimento intorno alla pittura contemporanea, quella pittura che non cancella e abbandona tutto il passato in nome di divagazioni pseudo-naïf ma che riflette e si confronta con la storia, per intento e per necessità. L’inaugurazione della mostra di Galliano è poi terminata con una cena nel locale di fronte, il cui nome ha ispirato il titolo di questo articolo e a ben pensare definisce il carattere di questo artista difficile e sorprendente, che non si disarma mai… un vero cocciuto.