...ma era lì, evidentemente mai aperto e mi son detta, proviamo. La verità è che è un libro godibilissimo, semplice nel linguaggio ma vero: francamente non è facile parlare d’arte in modo così lieve, sincero e irridente, com’è il personaggio. La cosa che più mi ha colpito è che le nostre posizioni non sono tanto distanti.
Quando feci la mia prima mostra allo Studio Cannaviello, Enzo Cannaviello me ne parlò un poco: Bonami fece una delle prime mostre da lui, come pittore, e poi deluso dall’Italia e dalla pittura, se ne andò a New York . Di certo è una gran bella testa: è stato direttore della Biennale di Venezia e del Whitney Museum, cura la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Nel libro, diviso in brevi ma frizzanti capitoli è molto critico verso la deriva dell’arte contemporanea. Se la prende con alcuni artisti, come Michelangelo Pistoletto, che a suo parere sono “finiti” ma ancora imperversano, con Ai Wei Wei che è il dissidente perfetto “non troppo cattivo né troppo dissenziente”, ma anche con un certo tipo di performance vuota e concettosa, citando Ragnar Kjartansson, oppure con quella pittura di tipo caravaggesco che letteralmente distrugge definendola zombie, perché usa un tempo defunto per parlare del nostro … “la lista di artisti zombie che pensano di essere vivi per la loro tecnica potrebbe essere molto, ma molto lunga” , dichiara senza scampo. L’unico di cui parla con rispetto è Gerhard Richter, che pur avendo avuto un enorme successo è stato capace di non bruciarsi, allontanandosene , “sorseggiandolo come un bicchiere di brandy”.
Insomma, ho letto il libro d’un fiato e l’ho trovato travolgente. La domanda però che mi pongo è questa: visto che l'autore è un personaggio centrale dell’arte di questi ultimi decenni e pensandola così, come mai non si è magari un po’ opposto, cercando di evitare la deriva? E se questo suo modo, tra il serio e il faceto, graffiante, non fosse invece la maschera di un cinismo senza limiti? Perché provocazione dopo provocazione l’arte contemporanea ha ormai smesso di stupire, e lui ne è un po’ responsabile. Forse la delusione di non poter essere un grande pittore? Ai posteri l’ardua sentenza.