Con i tassi di interesse delle banche centrali sul 5-6%, e l’incertezza delle nuove regole messe dai diversi stati per controllarne l’utilizzo, questo è l’uso più pericoloso della tecnologia blockchain. Investire in cripto adesso è veramente rischioso.
Discorso diverso per altre applicazioni, specialmente contratti e controllo dei meccanismi d’asta, che hanno raggiunto performance ed efficienze notevoli, aumentando l’interesse sia delle grandi aziende sia dei governi. In linea generale gli ostacoli che la blockchain deve ancora passare per affermarsi definitivamente sono cinque: scalabilità, consumo energetico, sicurezza, complessità ed interoperabilità.
Nel primo caso, le blockchain vecchie che ancora si basano sul proof of work (Bitcoin) sono improponibili, mentre quelle cui hanno ceduto il passo, ossia le proof of stake (Algorand, Ethereum), cominciano a scalare a volumi di transazioni e costi paragonabili a quelle di altre tecnologie. Il problema è che scalabilità, sicurezza e decentralizzazione sono legate, ed al massimizzare la prima si perde sulla seconda o sulla terza.
Il consumo energetico è stato per anni il problema principale e record nel settore digitale, solo di recente sorpassato dall’immenso consumo di LLM come ChatGPT, per cui una sola domanda costa 22 centesimi di dollaro. Quando Ethereum è migrato da proof of work a proof of stake nell’autunno scorso, il consumo è sceso da 90TWh a 0.04TWh, quello di un centinaio di case. Il problema è che una transazione Ethereum equivale ancora ad 1.5 milioni di transazioni di carta di credito, quindi non è competitivo con il resto delle tecnologie disponibili.
Per quanto riguarda la sicurezza, mentre gli algoritmi in sé sono solidi, lo stesso non può esser detto dei network e di tutti gli attori dell’ecosistema, che nascondono bande di furfanti. Utilizzando tecniche di social engineering e contando sulla rapidità con cui evolve la tecnologia, i truffatori riescono a rubare soldi a molti utenti, contribuendo anche allo scarso grado di fiducia da parte delle banche e maggior pressione da parte degli enti regolatori per ingessare ancor più il tutto.
La rapidità di sviluppo della tecnologia, l’uso interfacce utenti molto migliorabili, e la concorrenza spietata tra diverse piattaforme, fa si che tutto l’ecosistema sia particolarmente complesso e difficile da controllare. Questo a sua volta motiva ancora di più il legislatore a porre vincoli che non fanno che peggiorare la cosa. Da questo discende la mancanza di interoperabilità con altre tecnologie, che rende ancora più difficile l’adozione delle blockchain. Ci sono ancora troppi protocolli e standard, che impediscono alle diverse piattaforme di lavorare assieme.
Credo che questo inverno faccia bene all’ecosistema della blockchain, per potare una serie di rami secchi, di casi d’uso, tecnologie ed aziende, che finora hanno fatto tanto fumo e poco arrosto. Laddove ci sia la necessità di decentralizzare il possesso del dato, come negli scambi commerciali, nella gestione della catena logistica, volendo anche nella gestione di dati personali e delle votazioni, la blockchain può dare un valore aggiunto. Probabilmente serve maggiore consolidamento prima che torni il sole su questo settore.