Di recente ho aiutato un gruppo di giovani medici che lavora sull’uso dell’intelligenza artificiale per migliorare la capacità diagnostica della risonanza magnetica (MRI), specificamente quella usata per provare l’esistenza del tumore alla prostata. È uno dei tumori più diffusi, la cui incidenza sta aumentando assai, con una media del 3% annuo fino al 2019 e del 4.5% per quelli più aggressivi fino ad oggi. In generale tumori e malattie del sistema immunitario accelerano e colpiscono in età sempre più giovane, mettendo quindi in crisi gli schemi preventivi basati sull’età del paziente. Se prima lo screening si poteva iniziare dai 50 anni, ed ora aumentano i casi tra trenta e quarantenni, è chiaro che la diagnostica debba migliorare e giocare d’anticipo.
Storicamente per il tumore alla prostata s’è usato un prelievo del sangue per mostrare la presenza dell’antigene PSA, che però aumenta anche dopo la normale attività fisica e sessuale, che si presume siano frequenti tra trenta e quarantenni. Di conseguenza i medici si trovano il 75% di falsi positivi, ossia pazienti col PSA alto ma senza tumore, e per contro un 15% di falsi negativi, ossia quelli col PSA normale ma con la malattia che incalza. Risparmiando una serie di considerazioni statistiche, questa incidenza di falsi positivi fa sì che il test del PSA venga fatto a campione e non a tappeto, per evitare spreco di risorse e fastidi importanti a chi patisce la biopsia per poi capire che sta bene.
I progressi dell’AI nel riconoscimento visivo consentono di accoppiarla a due tecniche di imaging come MRI e ultrasuoni, in modo da perfezionare sia l’analisi del referto stesso, andando a riconoscere forme, colori e consistenze quasi impossibili per l’occhio dell’esperto, sia attraverso il paragone tra immagini scattate in momenti diversi, contando sul fatto che il tumore evolve più rapidamente delle altre strutture limitrofe. Più costosa a causa della refertazione, ma in grado di dare gli stessi vantaggi, anche l’applicazione del riconoscimento visivo ai referti istologici presi con la biopsia, aiuta ad eliminare ogni dubbio.
Passando agli algoritmi di machine learning, l’AI consente di analizzare tutti i dati disponibili sul paziente: dallo stile di vita, ad altre patologie, famigliarità per la malattia, cibi e medicinali consumati, andando a profilare la persona rispetto a profili di rischio in linea con gli studi disponibili. Un riferimento qui.
Fatte le debite considerazioni sulla privacy della persona, è facile immaginare come l’uso del machine learning potrebbe essere il primo filtro per ridurre il numero di candidati a fare il PSA assieme ad un imaging ambulatoriale, riuscendo quindi a gestire meglio i falsi positivi, e portando alla biopsia solo i pochi probabili pazienti. Facessimo così, cosa fattibilissima domani se non sprecassimo risorse economiche ed intellettuali in missili, la probabilità di riconoscere questa malattia nei giovani aumenterebbe notevolmente, e con essa quella di continuare a guardare il sorgere del sole ed i figli crescere.
In memoriam.