LA Coppa


Analogie e differenze: Michael Jordan e Nirmal Purja

Quali sono le analogie e differenze che legano Michael Jordan e Nirmal Purja? Dalla serie “The Last Dance” e dal documentario “14 vette” (entrambi prodotti Netflix) emerge in primo luogo, in modo chiaro e netto, il diverso modo di relazionarsi con la competizione. 

Per Michael assume un carattere ossessivo, il che, lo porta a vivere in modo estremamente conflittuale con tutto il mondo esterno, siano compagni di squadra, avversari o media. E come tutti i grandi sportivi con questa forte componente ossessiva e conflittuale, si è attirato l’invidia, che a volte sfumava perfino in vero e proprio odio, di coloro che, lo volevano veder fallire, cadere e crollare.

Per evitare la sconfitta ed il fallimento, ma soprattutto per dimostrare ogni attimo che lui fosse il migliore di tutti, si era messo talmente tanta pressione su di sé che per stanchezza fisica e mentale si ritirò per ben tre volte dalla scena, con l’ultima, quella definitiva, nel 2003. Era costantemente alla ricerca di motivazioni e avversari da distruggere, accrescendo così il proprio ego a spese di altri e di se stesso, isolandosi, e laddove non c’erano, si inventava pretesti per aumentare la competizione e stimolarsi maggiormente.

Nirmal rappresenta un nuovo modello di grande sportivo che utilizza la difficoltà per potersi elevare, utilizza la competizione per migliorare se stesso e testarsi continuamente, senza però sfidarsi, perché non ne ha bisogno, avendo acquisito una grande sicurezza di sé prima, con gli allenamenti e il percorso di vita precedente come membro della Brigata Gurkha, ovvero una unità di fanteria scelta dell’Esercito Britannico, i cui soldati vengono arruolati tra la popolazione Gurkha del Nepal, famosi per il loro estremo coraggio. Egli, alpinista nepalese, non sfida la montagna, cerca di comprenderla senza sottovalutarla né considerarla impenetrabile o nemica da battere, nutre verso di lei profondo e sincero rispetto; così da semi sconosciuto nel 2019, insieme ad una squadra di sei sherpa, ha centrato l’obiettivo di scalare le 14 vette più alte al mondo (tutte con una altitudine superiore agli 8.000 metri), situate nella catena himalayana tra Nepal, India, Pakistan e Cina, in 189 giorni, qualcosa di inimmaginabile prima (record precedente 16 anni).

E proprio il rapporto con i compagni di squadra costituisce un’altra differenza tra i due, in quanto Nirmal li vede come amici, fratelli con i quali fare un percorso di crescita insieme, sostenendosi ed aiutandosi l’un l’altro, prendendosi anche momenti di festa, con canti e bevute nei campi base.

Micheal avendo la vittoria come stella polare pretende da sé e dagli altri tantissimo, a volte più di quello che i compagni, meno talentuosi di lui, possono dare. Spesso quindi eccedeva in atteggiamenti aggressivi verso di loro; grazie tuttavia ad un uomo estremamente intelligente come Phil Jackson, ha capito il valore della squadra, di tutti gli elementi di essa, che è possibile vincere solo di gruppo, mai da soli, e soprattutto fidarsi di essi nei momenti importanti.

Michael è una star planetaria, un punto di riferimento del mondo, una icona per tutti, non vuole essere tirato per la giacchetta per un qualche ideale, a differenza di Muhammad Ali prima e LeBron James dopo di lui non vuole e non interessa essere considerato un leader-idolo degli afroamericani. Gioca per Michael Jordan, per la vittoria, per il mito.

Nirmal invece assurge a leader del popolo nepalese - a cui dedica l’impresa - e non solo, con Project Possible vuole sottolineare sia il valore ed il lavoro degli sherpa che accompagnano gli scalatori occidentali per quelle vie impervie, sia sottolineare, ironicamente, come record raggiunti non in Occidente abbiano una più tenue luce dei riflettori.

Da ultimo il rapporto stretto e profondo con la madre. Quella di Nirmal, gravemente malata, riesce a vedere da viva l’impresa del figlio, contribuendo a dare a quest’ultimo una forza ancora maggiore per raggiungere l’impensabile obiettivo; vale lo stesso per la madre di Michael, la quale, grazie ad una sua intuizione e ferma volontà - come si evince dal film “Air-La storia del grande salto” - fece ottenere al figlio una percentuale sulla vendita dei prodotti Nike della linea Jordan, trasformando così il giocatore in una azienda. Ciò cambia profondamente il ruolo dell’atleta americano, in particolare afroamericano, poiché permette guadagni prima impensabili, provocando un incremento del benessere per quelle famiglie, facendole uscire da contesti sociali poveri e difficili.

Nonostante dunque il diverso spirito con cui raggiungono i rispettivi traguardi, quell’infaticabile voglia di migliorare, di evolvere e di raggiungere i propri obiettivi, andando oltre i limiti che l’uomo per paura ed insicurezza si pone, entrambi sono uno stimolo per tutti noi che li ammiriamo, e dimostrano che, ognuno nel proprio campo, può raggiungere quei risultati.


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