Il cristianesimo avrà futuro se, rimuovendo la sua immagine legata al modello borghese, romperà il collegamento organico tra cultura, politica e istituzioni.
L’uomo moderno non è cristiano, perché l’incontro con “l’Evento” si realizza non tanto con la conoscenza del dogma e degli “alti valori” ma con una esperienza di vita rinnovata dalla grazia della fede. Un uomo non può essere felice con un persistente turbamento che la vita sia solo un vagabondare insensato verso la morte. Non riuscendo a immaginare il futuro, viviamo in un’epoca buia che fissa il varco di uscita dalla disperazione solo in un presente assoluto (Marc Augé).
Nel momento in cui passato e presente dominano senza l’orizzonte del futuro, il messaggio evangelico è scandalo e follia. «Cristo crocifisso è scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani, ma per chi crede è potenza, sapienza di Dio!» (1Cor. 1,23-24). La Buona Notizia si proietta nell’avvenire, in un futuro ignoto. «Dio sta per dare inizio al compimento del suo Regno, e noi ci perdiamo dietro le nostre congetture, quasi fossimo noi a dover «organizzare la conversione del mondo al cristianesimo» (papa Francesco).
Solo rifacendoci al paradigma paolino della debolezza di Dio possiamo azzardare una timida risposta alla domanda radicale sul senso della storia e su una possibile redenzione. Senza polemica preconcetta, accogliendo le teorie più recenti della scienza sull’universo e sui mondi possibili, le acquisizioni filosofiche che parlano di multiverso e transumano, il cristiano è sempre più consapevole che «ci deve pur essere un fondamento di umanità, una sorgente, una presenza, una parola, per proteggerci dalla grande minaccia del caos». (Maurice Bellet) Non è possibile l’umanità, e quindi pensiero, cultura, società, senza riferimento, cosciente o meno, a un Assoluto. È la pensabilità del futuro che apre allo Spirito.
Se non si è capaci di pensare “un dopo”, un domani, qualcosa che deve ancora accadere, allora è impossibile parlare del Regno di Dio. Ma di fronte a un male dilagante, all’abisso senza fondo della distruzione che arriva ad annientare “l’umano” nell’uomo, l’ipotesi di un Dio «che ci dà come sua immagine vivente un crocifisso», pare l’unica possibile. “Il mistero del male – la sfida più potente alla ragione e alla libertà dell’uomo – il «mysterium iniquitatis», come lo chiama san Paolo, se non vuole chiudersi su un punto interrogativo, postula un punto di fuga vertiginoso, una uscita di salvezza imprevedibile eppure realmente compiutasi duemila anni fa.
È la croce del Golgota” (Roberto Colombo) "La follia di Dio è più sapiente degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini" (1Cor. 1, 25) Schiacciati dal dolore, crocifissi dall’odio e dalle incomprensioni, vittime di feroci resistenze non resta che riferirci a questo Dio debole, espressione del puro dono e dell’Amore, per proseguire, con sguardo profondo sull’umano, nella ricerca del bene comune e della pace. Senza replicare l’atteggiamento dei giudei e dei pagani che non potevano sopportare l’idea di un Dio che soffre e che muore, dobbiamo abbandonare il filosofare sul mistero e il gustare l’estasi delle alte sapienze umane.
“La tentazione del benessere spirituale impedisce di amare Cristo con tutto sé stessi”. (papa Francesco) Al cristiano resta aperta la prospettiva di un pensiero «il più rude, il più audace, il più rischioso, scandaloso e folle», abbandonando una religione che offre al mondo lo spettacolo di modi di pensare e di agire che sono vere forme di antitestimonianza e di scandalo». (Georges Cottier) È arrivato il momento di sviluppare una teologia del fallimento. “Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà (Mt 10,39). “La sola vittoria sulla cultura e sulla prassi della morte è quella della cultura e della prassi dell’amore riconquistata e donata dalla Croce.” (Roberto Colombo) Questa teologia del fallimento è in grado di portare pace nella nostra vita e favorire il dispiegarsi della Grazia. Però «...molti dei suoi discepoli dissero: “Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?” ...molti si tirarono indietro.» (Gv.6, 60-68) Conosciamo anche la reazione di Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna».