IL Digitale


Cronache ChatGPT

Negli ultimi giorni ho avuto un paio di interazioni con ChatGPT, che sono interessanti. Nel primo caso, dovete sapere che insieme ad un collega scrivo spesso documenti divulgativi sulla cybersecurity. 

Di solito li scriviamo a quattro mani, da un lato per alleggerire il carico di lavoro, dall’altro per maggior controllo dell’aver coperto tutti i punti necessari: raramente, impegni pressanti ci portano a scrivere tutto da soli.

L’altro giorno il collega circola un documento completo, scritto con bella prosa e dovizia di particolari, quasi l’avesse fatto con calma da una spiaggia ai tropici. Sapendo che invece è al lavoro e bello carico di impegni, quel testo così rilassato mi lascia il dubbio in testa: “L’hai scritto con ChatGPT?”. Lui ride e confessa: ha dato gli ingredienti in pasto alla macchina, gli ha chiesto di scrivere come fosse un esperto di cyber, ed in pochi secondi s’è trovato in mano una relazione quasi perfetta, che lui ha aggiustato rapidamente prima di circolare. Visto che le informazioni usate sono pubbliche su vari siti federali, il fatto che il robot li abbia letti e riassunti correttamente non rappresenta un problema.

Quello che conta è che le due ore che normalmente si impiegano per scrivere questo genere di documento, si son ridotte a 10 minuti, tra il tempo di inserire la domanda e quello di rifinire il testo. Per fare la domanda corretta, per assicurare l’utilizzo delle fonti giuste, e per rivedere la bozza nel rispetto degli standard, occorre essere degli esperti della materia: non sono cose che si improvvisano. Ma allo stesso tempo il collega adesso può fare molto di più rispetto a prima, un cambiamento di produttività che va nella direzione di quanto scrivevo nei numeri precedenti.

Nel secondo caso mi sono trovato con altri sei tra investitori, insegnanti ed imprenditori tecnologici per provare ad immaginare il futuro dell’educazione. Come sempre in questi casi ci siamo confrontati sulle possibili evoluzioni politiche, sociali, economiche, tecnologiche, scrivendo idee e discutendole assieme per verificare una forma di accordo tra i partecipanti. Questa volta, invece di cercare e discutere una sintesi di queste idee variegate, abbiamo dato tutto in pasto a ChatGPT e chiesto al robot di scriverci tre scenari: neutro, utopico e distopico.

Come nel caso precedente, anche qui al robot chiedi di scrivere come fosse qualcuno: un esperto del settore educativo nel nostro caso. Tutti e tre gli scenari erano scritti egregiamente ed inerentemente credibili, con quello distopico che attrae più degli altri perché a tutti noi piacciono le storie di paura ed horror. Letti i tre scenari gli ho cambiato l’input: invece di scrivere come un competente del settore, scrivi come se fossi David Graeber. E nuovamente, in pochi secondi, ci siamo trovati altri tre scenari di buon senso ed egualmente probabili, ma sviluppati da un punto di vista completamente diverso.

Tutti noi siamo rimasti sorpresi dalla rapidità, coerenza e profondità dei passaggi logici espressi, in pochi secondi. Anche in questo caso il robot non avrebbe potuto fare da solo, sostituire qualcuno di noi o l’intero gruppo, ma ci ha consentito di fare in un’ora il lavoro che normalmente prende almeno due giorni di incontri, sintesi e dibattiti. Specialmente, ha ridotto la necessità di discutere tra noi questo o quel punto, perché riuscendo a mettere in fila tutti i passaggi in modo logico ha evitato che qualcuno di noi facesse l’avvocato del diavolo e rallentasse i lavori. Da un lato enorme guadagno di produttività, dall’altro ci ha messo tutti nella condizione di stereotipo del senso comune, quel fenomeno psicologico per cui siamo portati a non pensare con la nostra zucca e fidarci del gregge, non sempre la ricetta da seguire.

In passato ho invitato a riflettere sulla semplicità che ci vien data da questi strumenti digitali: chiaro il vantaggio di rapidità ed efficienza, ma siamo sicuri che sia sempre conveniente? La capacità di fare un passo indietro, riconsiderare alternative e diversi punti di vista, richiede tempo: se il robot ci spinge a correre, meglio fermarsi. Per chi fosse interessato un cenno in ambito clinico, qui.

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Zafferano

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In questo numero hanno scritto:

Alessandro Cesare Frontoni (Piacenza): 20something years-old, aspirante poeta, in fuga da una realtà troppo spesso pop
Umberto Pietro Benini (Verona): salesiano, insegnante di diritto e di economia, ricercatore di verità
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Emanuel Gazzoni (Roma): preparatore di risotti, amico di Socrate e Dostoevskij, affascinato dalle storie di sport
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro