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Previsione Alzheimer

L’Alzheimer è la forma più frequente di demenza nei paesi occidentali, ed anche argomento molto caldo in America, dove le performance dei nostri candidati presidenziali fan pensare di aver due malati in TV. Con circa sette milioni di pazienti e rappresentando la quinta causa di morte per i nostri vecchietti, spendiamo molto su prevenzione e cura. E’ tradizionalmente una malattia dell’età, tanto che l’incidenza del 2-3% nei settantenni cresce al 20-25% passati gli 85 anni (per approfondimenti, qui).

Alcuni ricercatori della Boston University hanno appena pubblicato uno studio sull’analisi del linguaggio come fattore predittivo dell’insorgenza della malattia dopo alcuni anni, facendo buon uso dell’intelligenza artificiale in ambito medico. Essenzialmente hanno scoperto che i disturbi del linguaggio appaiono molto prima della malattia conclamata, e prima li trovi e più efficace la terapia per rallentare l’evoluzione dell’Alzheimer. In questo caso parliamo di malattia neuro cognitiva, una condizione cronica che debilita la capacità di ragionare, di ricordare ed anche di gestire le nostre emozioni. Ben prima di arrivare a dimenticare la faccia di coniuge o figlio, la persona comincia a confondersi su attività quotidiane, fino ad arrivare al panico di ritrovarsi in un posto e non ricordarsi come e quando si è arrivati.

Gli scienziati hanno utilizzato un database che raccoglie i dati dei pazienti di un sobborgo di Boston dal 1948 ad oggi, e che nel corso degli anni hanno partecipato a test cognitivi per misurare il riconoscimento delle parole, memoria e coordinamento psico-motorio. Ad allenare l’intelligenza artificiale hanno contribuito anche 166 registrazioni vocali di interviste a persone tra i 63 e 97 anni, e la mappatura del gene APOE-e4 (qui) che nel 50% dei pazienti Alzheimer è presente.

I risultati sono ottimi in termini di capacità di previsione del disturbo, ed ora occorre capire come generalizzare quanto appreso dall’IA in termini di riconoscimento linguistico, ma su un insieme di persone molto ridotto. Se il robot ascoltasse il dialogo con un paziente californiano, francese o kenyota, darebbe forse le stesse indicazioni? Possiamo dire che il linguaggio plasmi i funzionamenti e malfunzionamenti del cervello allo stesso modo, in tutti i paesi e latitudini? Purtroppo, molti altri fattori, dallo stile di vita, alla dieta, alla disponibilità economica, rendono quest’analisi molto complessa, ma sicuramente avvincente.

In ogni caso uno strumento che mostri un’accuratezza tra il 78.5% ed l’81.1% nella previsione dell’incidenza di Alzheimer a sei anni, è prezioso. Consideriamolo un prototipo, visto il campione ridotto ed eccessivamente concentrato in un luogo, ma la possibilità di scalarlo sarebbe interessante. Immaginate un LLM che dopo avervi ascoltato vi dica che non solo siete tontoloni, ma in procinto di ammalarvi tra cinque o sei anni. Avreste la possibilità di rivedere stile di vita, regime del sonno, intensità degli stimoli informativi cui vi sottoponete, il tipo di lavoro e magari adottare anche qualche soluzione farmacologica: terreste lontana la malattia più a lungo. O forse, come dice Woody Allen, vivreste di più, ma pioverebbe.

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