Una cosa è certa, dopo il Covid non siamo più gli stessi. Dismesse le mascherine FFP2, così i gel igienizzanti, scaduti i green pass rafforzati, sostituito il gas russo con quello qatarino per riscaldarci e condizionarci, fallita la globalizzazione, rifiutate le ridicole auto elettriche ursuline, silente Greta Thunberg, ormai passata dalla CO2 ad Hamas, abbiamo concentrato la nostra stanchezza colpevolizzando i politici, poco importa se sinistri, destri, centrini. Nessuno si è salvato.
In Italia, i freni inibitori erano caduti già nel 2010. Progressivamente, c’è stato un mutamento genetico delle leadership: da “politiche” a “influencer”. Stessa cosa è avvenuta nel mondo del business e del management: da CEO manager a CEO influencer. Così in medicina, da virologi da corsia ospedaliera a virologi da talk show. Così nel giornalismo, poco importa se cartaceo o televisivo, dove l’indipendenza si piega agli interessi multi business dei vari editori, sempre più concentrati nel ridurre la libertà di stampa ai loro giornalisti e lettori.
Di qua, la mia ricerca di una figura che, almeno in termini politico giornalistici, rappresentasse una sintesi per questa miserabile “razza padrona” di inizio XXI secolo.
Finalmente l’ho trovato, non nella realtà, ma in letteratura. E’ l’antieroe di Albert Camus. E’ il personaggio chiave di “Caduta”, il suo romanzo più enigmatico: l’avvocato parigino Jean-Baptiste Clemence.
Clemence è buono, è onesto, è caritatevole, è stimato da tutti. Oggi si direbbe un perfetto esempio di cultura woke/cancel, di politically correct a tutto tondo nel mix, di moda, potere-filantropia. E’ serio, sa di non essere come vuol apparire, infatti candidamente confessa (è la frase chiave del libro): “Ho capito che la mia modestia mi avrebbe aiutato a brillare, la mia umiltà a vincere, la mia virtù a opprimere gli altri”.
In fondo, l’avvocato parigino è, come tutti i loschi finto buoni, un vanitoso mascherato: “Ero a mio agio in tutto, è vero, ma anche perennemente insoddisfatto… E così correvo, correvo, sempre appagato, mai soddisfatto, senza sapere dove fermarmi”.
Eccolo il personaggio colto, tipico del regime elitario in essere. Un “padrone” dal prisma impeccabile, rotto a tutte le sfaccettature della vita: fascista e antifascista, comunista e anticomunista, liberal e liberale nature, ebreo e palestinese, putiniano e antiputiniano, americano e antiamericano, cattolico e islamico. Senza però mai rinunciare ad essere alfa-dominante, sempre più ricco, sempre più potente, sempre più ignobile, convinto di avere sempre e comunque ragione.
E così, “Destra vs. Sinistra” sta diventando una categoria obsoleta, meglio tornare al vecchio prerivoluzionario “Ricco vs. Povero”, con tutto quello che ne consegue.
I nostri ultimi sei Premier del Dieci-Venti si sono perfettamente identificati con l’avvocato Clemence. Cinque, compresi i due finti tecnici, sono caduti rovinosamente, la sesta cercherà di durare ancora un po’. Si saranno resi conto, nel momento topico in cui stavano per cadere che ciò avveniva per la loro inettitudine, accoppiata a un’infinita vanità e supponenza? Quelli poi all’intorno dell’età prescritta dal Salmo 90 sono ancora lì a vessarci con un turbinio di parole inutili.
Visti al calare della sera sembrano tutti inutili fantasmi. Lo confesso, potrei fare a meno di tutti loro, come “padrone” a me basta Jean-Baptiste Clemence. Quando sono stufo di lui chiudo il libro, e lui scompare, in una nuvola di zolfo.