Quest’anno abbiamo deciso di restare in città, andando a casa dei nuovi vicini: una coppia trentenne, lui immigrato dall’India e lei indiana di prima generazione, che avevano invitato anche genitori ed amici. La tavola era uno spettacolo: da un lato noi con tegliata di melanzane alla parmigiana, peperoni gratinati, insalatona di riso, bruschette ed intingoli, dall’altro loro con una quantità di piatti tipici dal nome per me oscuro, ma tutti ottimi. Evidentemente tanto italiani quanto indiani sono abituati a strafare quando si tratta di “portare uno spuntino”; con quella tavola avremmo sfamato una squadra di football, o un quartiere di Gaza.
Interessanti gli argomenti di conversazione: dalla scelta imbarazzante tra i due candidati presidenziali, alle tasse che finiscono in fuochi d’artificio e troppi altri sprechi, a come importare cibarie dai nostri paesi d’origine, fino a quello per me sorprendente, lavoro ed investimenti. Al contrario non s’è parlato di salute, sport, sesso o religione, probabilmente argomenti considerati prematuri quando si incontra qualcuno per la prima volta?
Strano parlare di lavoro o investimenti a cena, due argomenti di cui discuto solo con gli addetti ai lavori e mai casualmente. Invece per questo gruppo di immigrati indiani è motivo di forte interesse: come funziona la tua industria, domande sempre più approfondite per capire gli aspetti tecnici, come fai a fare soldi in questo settore, quali sono le lezioni di vita che impari dal tuo lavoro? Il tutto in modo sempre simpatico, mai invasivo e con parecchie battute, ma rispetto ad altre serate dove si parla di statine e colesterolo, o si disquisisce alla noia di questo o quel quarterback, una vera novità.
Questo m’ha dato modo di capire cosa fanno, quanto guadagnano e come pensano loro: da quello che progetta processi produttivi per Moderna, all’investitore professionista del medicale, a chi gira il paese per vincere tornei di bridge, dopo una carriera nella finanza. Fino a ieri sera non immaginavo che il bridge fosse fonte di guadagno e di ispirazione filosofica, se ne impara sempre una nuova. E dopo aver appreso tutte queste cose, siamo andati al parco con parecchie migliaia di persone, di tutti i colori, tatuaggi, girovita, gradi alcolici e di marijuana possibili.
Al parco le giostre, le frittelle bisunte, bibite e musica a palla, in preparazione dello spettacolo pirotecnico. Poi alle nove è calato il silenzio, assoluto: da qualche parte una ragazza ha cantato l’inno nazionale, quello star-spangled banner (bandiera adornata di stelle) che avrete sentito anche voi qualche volta e che risuona ad ogni possibile manifestazione sportiva, politica o generale, dal 1814.
Ed abbiamo rivisto le strisce luminose, i bagliori rossi, blu e bianchi sopra il parco, l’esplosione fragorosa dei fuochi. Il finale perfetto per: “O say does that star-spangled banner yet wave. O'er the land of the free and the home of the brave?" (“Di', dunque, sventola ancora quella bandiera adorna di stelle, sulla terra dei liberi e la patria dei coraggiosi?"). Si, nonostante tutto, quella bandiera sventola ancora, e che ci ricorda che domani sarà un giorno migliore.