In passato era abituale trovare professionisti fare lavoretti mentre cercano un nuovo lavoro, ma quello che è sempre stato un impiego temporaneo ora si trasforma nell’unica prospettiva per tanti mesi (se non anni) a venire.
L’economia del paese crolla, con i consumatori concentrati sugli acquisti online di commestibili e prodotti per la vita da divano (iPhone, tablet, schermi). Ad aprile i 175.000 nuovi assunti di Amazon e 300.000 di Instacart han dato una boccata d’ossigeno per chi stava perdendo il lavoro. Ma ora le previsioni di ripresa economica si allungano al 2021, e milioni di persone si accorgono che con pochi dollari all’ora dovranno indebitarsi pesantemente per tenere un tetto sopra la testa ed un piatto a tavola. Come in Italia ed in tutto il resto del mondo.
Le nuove regole per la riapertura, da cinema e teatri a ristoranti e bar, richiedono il diradamento dei posti a sedere, con conseguente crollo dei dipendenti e dei ricavi di queste piccole aziende che soppravvivono solo con le consegne a domicilio. In questo contesto i lavoratori della gig economy cominciano ad usare le stesse piattaforme digitali per organizzarsi in forme para-sindacali, e scioperare per migliorare le proprie condizioni di lavoro.
Thomas Klochan del MIT di Boston invita i lavoratori della gig economy a far pressione direttamente sui clienti cui consegnano, e fare in modo che siano questi a far leva sui CEO californiani con la felpa. I primi scioperi di dipendenti Amazon son stati ingenui: mascherati, e tenendo la distanza da virus, hanno provato a picchettare un paio di centri di distribuzione, ma i media mainstream non hanno dato visibilità a questi sconosciuti mascherati, e la protesta è finita. Con l’eCommerce conosciamo solo uno schermo, vediamo foto e recensioni di quanto stiamo cercando, ma non possiamo conoscere chi ci sta servendo dietro a quella piattaforma. Ci sono centinaia di migliaia di robot in USA, ma ci sono milioni di persone solo nella distribuzione del commercio elettronico. Non li vediamo, non ci rendiamo conto che sono persone come il barista di quartiere, o il tassista. Non vendendoli, non ci preoccupiamo di loro e delle loro condizioni.
Nascono siti come home.coworker.org, dove si possono conoscere altri lavoratori che condividono le stesse difficoltà, e dove gli stessi consumatori possono riflettere sull’effetto dei loro acquisti super scontati. Ogni volta che compriamo un prodotto particolarmente economico, riflettiamo su cosa sta dietro la catena di distribuzione e chi ci guadagna veramente. Dal Jeff che prende $ 9 milioni l’ora, a chi non ne prende abbastanza per sbarcare il lunario.
Chi riesce a comprare dal pescatore, dal contadino, dalla panetteria sotto casa, lo faccia sapendo che l’economia reale è quella che conta, quella che deve girare per non farci finire con una tastiera sul divano. Per il bene di tutti.