Vita d'artista


Il gioco dell'oca dell'arte contemporanea

Ci risiamo, siamo tornati alla casella di partenza di questo drammatico gioco dell’oca che la satira del Milanese imbruttito definisce la “divanata obbligatoria”. Tra le zone colorate ovviamente la Lombardia è la più rossa e per prima cosa si chiudono i musei, tenendo invece aperte attività essenziali come i negozi di intimo (con tutto il rispetto). Continuo a litigare in giro perché a mio parere...

... durante il lockdown dovrebbero invece rimanere aperti solo i musei, così finalmente qualcuno ci va e magari poi ci torna pure. Penso che dopo i parchi all’aperto siano i luoghi più sicuri e anti-Covid tanto sono ampi e spaziosi: in essi non si permane nello stesso punto a lungo e per ammirare le opere si sta con naturalezza distanti gli uni dagli altri. Nessun rischio di assembramento, solo godimento estetico e conforto del cuore. L'arte: un farmaco essenziale per la vita.

E dunque ci risiamo, insieme all'accesso ai musei sono saltate tutte le fiere più importanti in Italia, che già avevano spostato le date per provare a aprire, come ArtVerona, che si converte online e altre come Arte Fiera di Bologna che decide proprio di rimandare tutto: la rivedremo se va bene nel gennaio del 2022.

Anche le gallerie d’arte contemporanea chiudono i battenti fisici cercando di lavorare un po’ in rete, tra Instagram, podcast e interviste via Facebook. C’è chi, come Federico Rui Arte Contemporanea, a Milano, corre in galleria una volta alla settimana per appendere un solo quadro per volta di un solo artista per la rassegna Waw (one work- one artist-one week) cercando di suggerire un simbolico riappropriarsi del tempo, per osservare l’opera senza distrazioni. Dopo l’overdose di questi anni e la fairtigue , la fatica da fiera, forse ce n’è bisogno. E c'è chi come Massimo De Carlo, a Parigi, affitta la vetrina di un negozio in centro, per presentare un unico lavoro alla volta.

E’ ovvio che le gallerie dovrebbero riconsiderare criticamente gli ultimi anni in cui le fiere (se ne contavano più di 250 l’anno, al mondo) l’hanno fatta da padrona. Quando io ho cominciato a lavorare non era così, v'era una sola fiera in Italia, quella di Bologna, e non sempre i galleristi erano interessati a partecipare. Poi si è creato questa specie di giostra mercantile in cui sei obbligato a esserci sempre, altrimenti sei escluso. Un sorta di servitù al sistema, che però, "grazie" al Covid, comincia a dare segni di stanchezza.

Riconquistare il cuore del pubblico, anche se di pochi, è forse il futuro delle gallerie, che troppo hanno speso in eventi mondani e glamour senza però riguadagnare quella autorevolezza che per decenni è stata il loro punto di forza.

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Roberto Zangrandi (Bruxelles): lobbista
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini