... pragmatismo italiano, una tradizione di pensiero cara anche ai lettori di Zafferano.news, visto che il termine apòta (quelli che non la bevono) era stato coniato da Giuseppe Prezzolini, uno degli esponenti dei pragmatisti italiani.
Quaranta era andato a intervistarlo a Lugano dove un Prezzolini ormai vecchio gli aveva raccontato dell’ardente gioventù nella quale insieme all’amico Giovanni Papini avevano fondato il "Leonardo" (1903-1907), una rivista affascinante e arrembante, che voleva rinnovare la cultura senza passare dall’accademia, andando a cercare i pensatori originali ovunque fossero nel mondo – anche nella lontana America di allora dove erano andati a scovare il pragmatismo di Charles S. Peirce e William James. Nella sua breve esperienza, il "Leonardo" aveva cambiato il linguaggio e il modo di fare filosofia, dimostrando un’apertura agli sviluppi culturali mondiali che pochi avevano a quel tempo. William James diceva che il gruppo dei giovani leonardiani gli aveva insegnato “il coraggio”.
Quaranta ha studiato per tutta la vita l’opera di quei due giovani che si erano uniti per la loro breve impresa al grande matematico Giovanni Vailati, anche lui rimasto volutamente esterno all’accademia, e al suo allievo Mario Calderoni. Per tutti gli studiosi vecchi e giovani che volessero sapere qualcosa sul pragmatismo italiano era d’obbligo la visita a Quaranta a Padova dove si veniva introdotti nei due garage pieni di libri, appunti, manoscritti, riviste che si riferivano alla storia dei quattro che avevano cercato per pochi anni di rinnovare la cultura italiana senza essere cattolici o socialisti, monarchici o democratici, anarchici o massoni.
Quaranta prestava generosamente i materiali e forniva liberamente lezioni gratuite su quel gruppetto così originale. In particolare, secondo gli insegnamenti di Geymonat, si era poi dedicato a una sorta di razionalismo critico pragmatista, che aveva in Vailati il suo punto di riferimento: un razionalismo non riduttivista, non ostile a nessun credo, amante della filosofia e delle novità di ricerca che venivano dai giovani studiosi, soprattutto se fondate su una buona logica. C’erano tante cose su cui si poteva non essere d’accordo, ma con il suo modo gioviale e aperto, con il suo entusiasmo per la ricerca filosofica che l’ha accompagnato fino agli 84 anni, con la sua generosa passione per il collezionismo filosofico è stato decisivo per la prosecuzione di una tradizione culturale minoritaria ma importante. Non è poco, in un mondo che dimentica facilmente quelli che non sono riusciti a dominare.