... tutte le tappe del suo formidabile cammino. Ricordo il mio primo incontro con la sua opera: era la Biennale di Venezia del 1993. Nel Padiglione del Giappone rimasi colpita dalla sua installazione: un ambiente giallo piuttosto pop punteggiato da pois neri di varie dimensioni, in cui vi erano degli specchi che cambiavano la percezione dello spazio, moltiplicandola. Il senso era quello dello sperdimento un po’ caotico, apparentemente giocoso ma in realtà un po’ freddo, direi quasi ostile. Certo il percorso di Kusama è notevole, dall’iniziale studio della pittura nihonga, la pittura tradizionale giapponese, in una patria non certo aperta alla dimensione femminile, alle strade di New York degli anni ’60, attratta inizialmente dall’opera di Georgia O’Keefee alla quale scrisse dopo aver visto un suo libro, in un negozio in Giappone. O’Keefee le rispose e lei sbarcò nella Grande Mela, dove si impose.
Nei 3000 metri quadrati di percorso espositivo vi sono più di 300 opere che delineano la camaleontica attività di Kusama, dai guache su carta, alle sculture gonfiabili, le collaborazioni nel campo moda (riguardevole è quella con Max Jacob della Luis Vuitton), fino alle ricostruzioni di performance e delle installazioni del periodo americano. E una nuovissima “Infinity mirror room”, il suo capolavoro: un ambiente di riflessione speculare un po’ psichedelico che grazie all’effetto caleidoscopico delle superfici specchianti, frammenta il corpo umano che vi si riflette, riproducendolo per un numero infinito di volte. Nel 1966 arriva in Europa e soggiorna a Milano nello studio di Lucio Fontana, col quale ha similitudine e consonanza nel tentativo di estendere l’opera oltre i confini della tela. Un Fontana che le finanzierà le 1500 sfere d’argento dal titolo “Narcissus Garden”, con le quali Kusama si presenterà a alla Biennale di Venezia, non invitata, e che spargerà nel prato di fronte al Padiglione Italia creando non poco sconcerto. Un bel coraggio, ma allora vi era certo più spontaneità di oggi.
Nonostante il grande successo dei primi anni, Kusama nel 1970 fece ritorno in Giappone a causa dei suoi demoni, quelli della malattia mentale, che la costrinsero a ritirarsi dalla scena artistica per alcuni decenni, senza mai però interrompere la sua infaticabile attività. “Con un solo puntino, non possiamo ottenere nulla. Nell’universo, c’è il sole, la luna, la terra e miliardi di stelle. Cercare di capire la filosofia dell’universo attraverso l’arte mi ha portato a perseguire una cosiddetta ripetizione stereotipica”. Dal 1973 l’artista vive, per scelta, nell’ospedale psichiatrico di Seiwa, ma visti i tempi che corrono, non pare una scelta priva di fondamento.