... un nome unico. Tuttavia, la descrive nelle sue forme: individualismo, neo-liberismo economico, modello culturale unico, perdita del senso della storia, falso universalismo, globalizzazione selvaggia, discorso politicamente corretto, sfruttamento dei migranti, disprezzo della politica come intermediazione, disprezzo del popolo, ostracismo della religione dall’ambito pubblico, cultura dello scarto sulla vita (con l’aumento di aborti ed eutanasia) e sulla difesa dei più deboli (persone con disabilità). Certo, il Papa lo fa con il suo linguaggio, le sue sottolineature e le sue categorie, spesso difficili da interpretare per gli europei. Basti pensare che per difendere l’agire politico fa l’esempio dell’aiutare un vecchietto ad attraversare un fiume (!) o del costruirgli un ponte. Il riferimento è a mondi un po’ diversi dai nostri.
Tuttavia, la descrizione non è lontana da quella del Papa emerito Benedetto XVI, contenuta nella biografia appena uscita per Garzanti: “Ma la vera minaccia per la Chiesa…non risiede in queste cose, bensì nella dittatura mondiale di ideologie apparentemente umanistiche, contraddicendo le quali si resta esclusi dal consenso sociale di fondo”. Sono parole forti, ma anche qui manca un nome unico per queste “ideologie”.
Né il Papa regnante né quello emerito, purtroppo, avranno letto Uomini o consumatori? Il declino del CEO-capitalism, edito da Grantorino Libri e disponibile su Zafferano.news. Eppure, CEO capitalism è proprio l’etichetta per questo tipo sfaccettato di ideologia, solo apparentemente umanistica, che ha invaso il mondo a partire dalla caduta del famigerato Muro di Berlino ma, ancora più propriamente, a partire dall’attacco alle Torri Gemelle (2001). Chi si occupa di cultura sa bene che da allora è finita la moda delle interpretazioni estreme del postmodernismo (il celebre anything goes, tutto va bene) ed è cominciato il riflusso verso un realismo duro e uno scientismo sempre più dottrinario, nei quali si ammettono sempre meno interpretazioni e linguaggi.
Dagli enormi temi etici l’ideologia è ora arrivata alla guida del linguaggio inclusivo, fatto di asterischi, di genderizzazione per decreto dei nomi e dei pronomi, di parole proibite, di temi cancellati dai dibattiti. Ora sta arrivando dagli US anche la lotta sull’appropriazione culturale: non si potranno usare le parole derivanti da un’altra cultura per non essere egemonici usurpatori. In nome del rispetto e dell’amore all’altro, ciascuno stia chiuso in se stesso e nella propria cultura. A poco vale dire che tutto questo era partito in nome della mescolanza e dell’amore alla diversità. Altro che relativismo o nichilismo della società liquida: siamo nella società rigidissima del CEO-capitalism. È vero che anche in questo caso, mentre c’è il nome dell’ideologia, manca un nome breve e semplice per indicare i sostenitori di questa nuova ideologia. CEO-capitalist è troppo complicato. Riccardo Ruggeri tende a chiamarli liberalnazicomunisti, ma non piace neanche a lui ed è anti-economico in termini di lettere e fiato. È aperta la gara fra i nostri lettori: chi ne trova uno valido, ce lo scriva.