... dell’infondatezza e insensatezza della vita umana, i cui valori – di conseguenza – si sarebbe dovuto distruggere e/o invertire. Oltre alle infinite rivisitazioni estetiche, etiche, politiche dei principi nietzschani per tutto il Novecento, il nichilismo poi ha un significativo successo verso la fine del secolo scorso, in forma “gaia”, come diceva Augusto Del Noce, come esito della lettura “di sinistra” di Nietzsche e di Heidegger: il nulla è il destino dell’essere; tutto tende necessariamente a perdere significato e tutto appare uguale e vano. In quest’ultima versione non c’è più da rovesciare i valori di un tempo, ma ogni valore e ogni realtà sono ugualmente illusori e insignificanti.
Al di là delle teorie filosofiche, si può però identificare un “nichilismo pratico” come cifra di questa epoca, come faceva Antonio Polito la scorsa settimana sul Corriere? In questi mesi di Covid abbiamo assistito alla lotta per la vita e la sicurezza della vita – considerata da molti valore supremo – e, d’altro canto, alla lotta per la libertà d’azione e intrapresa – considerata da molti altri valore supremo. Di atteggiamenti nichilisti, di negazione dell’essere esplicita, ricordo un solo caso: un tizio in Corea del Sud che, malato di Covid, andava in giro per infettare altri, per accelerare una distruzione dell’umano. Per il resto, si vedono molti trasformare i valori della sicurezza e della libertà in ideologie, che si sono aggiunte alle molte altre già presenti come il culto del corpo e della forza, l’ambientalismo estremista, la propugnazione acritica delle teorie gender, il fanatismo religioso terrorista, il suprematismo bianco, il razzismo dei razzisti e degli anti-razzisti, e molte altre di ogni genere e colore. Non c’è nichilismo in queste ideologie, che anzi sono considerate piene di valori assoluti.
Qualche volta si chiama nichilismo pratico la superficialità o l’ignoranza. Ma sono sempre esistite e non sono celebrazioni del nulla, sono difetti dell’essere. Altre volte ancora, si chiama nichilismo l’azione malvagia, che si chiama cristianamente “peccato” e civilmente ha tanti nomi: omissione, tradimento, menzogna, disonestà, e alle volte ricade interamente sotto il termine “reato”. C’è infine l’avvertire la mancanza di senso nella vita che, se non ricade sotto il capitolo clinico della depressione, finisce sotto i nomi più nobili di aridità spirituale, noia (Leopardi), avitaminosi dell’anima (Grossman). Le stesse mancanze, rivolte in senso positivo, diventano ricerca spirituale, ascesi, senso religioso, comunque poi vadano a finire.
Non è per acribia che uno fa questa disamina, ma il fatto è che i nomi portano in sé le proprie realtà e dare i nomi alle cose è l’antico privilegio degli esseri umani, descritto dal celebre racconto di Noè. Non bisogna perderlo per la fretta di attribuire etichette che semplifichino la strada della comprensione.