Sotto i tetti in zinco e ardesia dell’École Normale Supérieure è ripreso l’anno universitario con la consueta sfilza di eventi eccezionali. Vado alla proiezione di un film contemporaneo, presentato in anteprima. Si chiama Modern lovers del regista Hugues Blondet. Il film è composto da una storia d’amore, che si sviluppa, lentamente e senza parole, tra due operai dell’industria delle ostriche e da un’intervista, girata a Venezia, al matematico e biologo Giuseppe Longo, professore e ricercatore emerito della medesima École. Le due parti del film sono unite dalla presenza costante di paesaggi d’acqua e dal tema dell’opposizione tra meccanicismo e natura.
In effetti, Longo è un personaggio importante di una concezione della scienza sicuramente non maggioritaria. Con gli strumenti della matematica e della biologia si è sempre battuto affinché si riconoscesse che lo sviluppo scientifico è organico e non meccanico, che in esso intervengono innumerevoli fattori imprevedibili e quadri teorici sorprendenti, che è legato a un profondo realismo il quale, per essere tale, deve comprendere anche le nostre idee e aspirazioni, i nostri spunti teorici, le nostre credenze, la nostra corporeità. Si tratta di uno sguardo storico allo sviluppo della conoscenza, che tenta di opporsi alla hybris, all’arroganza, di un approccio tecno-scientifico che considera invece la scienza come una determinazione necessaria della realtà che dovrebbe essere predeterminata e prevedibile perché completamente calcolabile. Di questa visione fa parte una prospettiva illusoria e presuntuosa dell’intelligenza artificiale, che non può essere paragonata alla mente umana in nessun senso. Allo stesso modo, l’impostazione tecno-scientifica, secondo Longo e il suo gruppo, ha imposto una visione della biologia sbagliata che ha provato a costruirsi a immagine della calcolabilità digitale: decodifichiamo il DNA per poi derivare da esso ogni sviluppo dell’essere umano. Una quantità di soldi enorme è stata riversata su questo tipo approccio alla biologia molecolare, salvo poi capire che in realtà ciò che deriva dal DNA non è prevedibile in maniera necessaria o meccanica perché molto di questo sviluppo dipende da storia e abitudini delle persone. Allo stesso modo, denuncia Longo nell’intervista, si è cercato di intervenire con calcoli e determinazione a priori sui famosi OGM, producendo però disastri che ora minacciano il normale sviluppo naturale. Il problema è sempre lo stesso: pensarsi onnipotenti, rinunciare al pensiero critico e storico in nome di una computazionalità che sembra concreta ed è invece astratta, derivare conseguenze e direttive senza porsi il problema antropologico di che cosa sia l’essere umano e il suo posto nella natura. È così, di dato in dato, di necessità in necessità, si va verso una società sempre più controllata e prestabilita da chi ha in mano il controllo dei dati.
La denuncia di Longo è interessante perché è interna, fatta con strumenti sofisticati delle stesse scienze, e propone una visione innovativa delle medesime materie, non un loro abbandono o una loro condanna o un loro ridimensionamento a favore di discipline umanistiche. È una questione culturale di revisione della nostra conoscenza, non una battaglia ideologica.
E l’amore, che l’altra parte del film? Anche l’amore ai tempi moderni, ai tempi della computazionalità digitale, può essere meccanico, come quello che il protagonista cerca frequentando con riti identici una sfilza di donne conosciute attraverso una app, oppure può essere naturale, come quello che alla fine nasce con la compagna di lavoro non appariscente, ma intensa, vera ed elegante. Come i tetti di Parigi che si vestono d’autunno.