Il violino solista, alle prese con figurazioni virtuosistiche imita la gioia e il disordine della scena festosa.
Come per le altre Stagioni vivaldiane un sonetto allegato (che ricordo essere di anonimo ma forse scritto dallo stesso Vivaldi) racconta la scena musicale.
Il secondo movimento delinea il dopo-festa quando i contadini stanchi e intorpiditi dal vino si ritirano per dormire.
Una calma quasi irreale piomba sulla notte dal ritmo lento, cadenzato e poggiato sul suono continuo del cembalo.
Tutt’altra l’atmosfera del risveglio: è l’ora di una battuta di caccia.
Risulta che Vivaldi fosse ispirato nel suo lavoro dai dipinti del pittore e paesaggista Marco Ricci e in effetti quest’ultimo tempo d’Autunno si potrebbe definire una “pittura musicale” in cui compaiono cacciatori, corni da caccia, schioppi e cani. Dopo i primi richiami dei corni e l’abbaiar dei cani si entra nel vivo della caccia: il sonetto descrive una bestiola che tenta la fuga e un violino ne racconta i tentativi con rapidi passaggi; tutto è però vano e l’episodio termina con la resa della povera preda che “ferita minaccia languida di fuggir, ma oppressa muore”.
Si risente il ritmo baldanzoso che contraddistingue i cacciatori e l’Autunno va a finire.
Anche questa Stagione - qui il terzo movimento - come le altre è uno splendido esempio (e uno dei primi) di musica a programma, descrittiva, con la quale Vivaldi entusiasma il pubblico da secoli.