Vita d'artista


Felice Carena

Alle volte sono commossa dagli sforzi fatti da alcune istituzioni, in questo caso le Gallerie d’Italia, che a Milano hanno sede nel più prestigioso degli ambienti della banca Intesa San Paolo, per ricordare artisti italiani ottimi anche se un po’ dimenticati. Ammetto di essermene dimenticata anche io fino a qualche giorno fa, quando mi son resa conto che il tempo era passato e la mostra era in chiusura. 

In ogni caso ogni volta che entro in quel luogo ho un flashback di quando andavo lì e vi erano le casse e gli impiegati della banca, e già allora ero affascinata dalla bellezza del palazzo. L’ambiente conta molto e può essere preponderante se le opere non sono all’altezza, ma la mostra di Felice Carena, un artista che non conoscevo bene, è stata di grande impatto, valorizzando il lavoro di questo artista indipendente e unico, nato a Torino nel 1879 e morto a Venezia nel 1966.

Un pittore che sperimenta varie tensioni, inizialmente romantiche poi chiaramente simboliste, con uno sguardo molto attento ai Preraffaelliti: mi ha colpito infatti molto un’Ofelia verde, una sorta di omaggio al capolavoro di John Everett Millais, ma più visionario in quella tinta verdognola di eco quasi chagalliano. Non capisco come mai alcuni autori non siano nelle maggiori collezioni museali del mondo, e penso che è così arbitraria la scelta che si fa, che i musei andrebbero rifatti del tutto ogni dieci anni. Le epoche cambiano e anche lo sguardo verso le opere, si cambia mentalità e quello che pareva nuovo sembra vecchio e viceversa. Notevole la grande “Estate. L’amaca” del 1933, una fanciulla distesa su un’amaca in mezzo a un parco, che si abbandona al caldo estivo e il miracoloso “Serenità” del 1925, un quadro bucolico, con il nudo femminile in primo piano di spalle, un capolavoro assoluto, che ricorda Cezanne ma anche Giorgione.

Insomma, un pittore libero dagli schemi, un maestro del Novecento, completo, intenso, mai uguale a se stesso, come anche e soprattutto nelle nature morte, che sembrano il riflesso del suo pensiero in movimento, alcune volte molto definite e dai colori accesi, e altre, come alla fine del suo percorso, pastose e fluide. Sono rimasta colpita dai quadri religiosi, come dalle grafiche, mai banali. “Mi interessano due cose: i poveri e la luce”, infatti il popolo, la gente comune entra fin dall’inizio nelle sue opere. La verità è che quei pittori, e penso a lui come a Sironi, a Carrà, Casorati o Donghi , non erano affatto ideologici, anzi : pur essendo stati tacciati di vicinanza al fascismo e dunque ostracizzati, hanno sempre seguito la loro strada, che non era in direzione delle avanguardie ma si confrontava ancora con la grande storia della pittura, pervicacemente. Finalmente vi è l’occasione di un riscatto.

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