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Imparare, il talento dell’homo discens

Francois Truffaut, celebre registra, affermò: “Un uomo si forma tra i sette e i sedici anni. Poi vivrà di tutto ciò che ha assimilato tra queste due età”. Per il regista in erba niente più del cinema illuminò quel periodo, ma ognuno di noi ha la sua storia.

Perché Truffaut aveva ragione?

Il cervello evolve e si plasma mentre apprende, ma questa plasticità, massima nell’infanzia e nell’adolescenza, si perde rapidamente con l’età. Esistono tre tipi di plasticità. La prima porta i neuroni a stabilire tra loro miriadi di contatti a seconda degli stimoli ricevuti, per abilitare o disabilitare connessioni elettriche e chimiche tra loro attraverso le sinapsi, poste al termine di lunghe interconnessioni, gli assoni. La seconda è la plasticità attribuibile alle cellule staminali che entro certi limiti possono generare nuovi neuroni. La terza è quella espressa da neuroni immaturi che si mantengono tali anche molto a lungo in attesa che qualcosa li induca a evolvere. Questi, su cui ancora molto va compreso, sono una risorsa cognitiva in più del nostro cervello, seppur limitata. Insomma, c’è ancora speranza!

Il neonato, forte dei suoi neuroni scattanti, delle conoscenze innate e di quanto ha già appreso nel ventre materno, inizia il suo percorso cognitivo pronto a riprogettare le connessioni tra 86 miliardi di neuroni tramite 100.000 volte tante sinapsi. Milioni di miliardi di stati cerebrali. Un mare di potenzialità se è vero che apprendere una lingua ne occupa solo 2 milioni.

Questa è la natura fisica dell’apprendimento, un processo frutto anch’esso dell’evoluzione. Se alcune cose sono innate per altre conviene apprendere per adattarsi meglio all’ambiente in cui si vive. Più che Homo sapiens dovremmo chiamarci Homo discens. Scuola e pedagogia sono ad appannaggio esclusivo della nostra specie.

Apprendere significa interiorizzare un pezzo della realtà attraverso modelli interni che si sviluppano e affinano con un gioco di ipotesi e loro verifica, avvalorati dalla plausibilità statistica. Imparare significa costruire un nuovo modello del mondo nel nostro cervello.

Ma quali fattori influenzano di più l’apprendimento?

L’attenzione, che amplifica e propaga i segnali di quanto apprendiamo. Il coinvolgimento attivo, ossia la curiosità, la motivazione e il cimentarsi nel fare ipotesi da confutare o convalidare. Il riscontro dell’errore, con la sorpresa che ne deriva, utile a fissare memoria dell’esperienza. Il consolidamento, favorito da un sonno efficace con cui il nostro cervello trasferisce quanto appreso in una memoria stabile, liberando spazio corticale per nuovo apprendimento.

Sapete perché mi appassiona tutto questo?

Perché vedo i miei figli perdersi nelle pieghe dei social disattenti e apatici per interminabili ore, senza attivare a fondo le straordinarie potenzialità dell’apprendimento. Idee molto semplici da applicare in sede di apprendimento, come il gioco, il piacere, la curiosità, la socializzazione, la concentrazione, o il riposo mirato, possono invece aumentare ancora quello che è il più grande talento del nostro cervello: imparare.

Alla prossima!

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In questo numero hanno scritto:

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Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
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