Così, il libro postumo di Enrico Berti, uno dei massimi esperti mondiali di filosofia aristotelica, si concentra proprio su Le prove dell’esistenza di Dio nella filosofia (Morcelliana, Brescia 2022), raccogliendo grazie a Luca Grecchi le lezioni fatte a Lugano nella Facoltà di Teologia. Con la tipica capacità di tutti i grandi uomini di cultura di raccontare in modo semplice e avvincente faccende complicate e sofisticate, Berti riassume in queste brevi lezioni l’epopea del pensiero umano su Dio. È un tipo di ragionamento che affonda nella notte dei tempi ma che fiorisce in tutta la sua forza logica soprattutto nel basso Medioevo cristiano, ritenuto epoca oscura solo da chi non ha fatto studi di logica. Qui troviamo le radici dei due grandi tipi di prova: ci sono, infatti, argomenti che cercano di cogliere la relazione diretta o la continuità tra Dio e la mente umana - si chiamano ontologici - e argomenti che cercano invece di mostrare e dimostrare l’esistenza di Dio a partire da ciò che i nostri sensi vedono, sentono e toccano. Il libro di Berti ripercorre questa storia e quella successiva, nella quale pensatori di ogni genere si sono affaticati per confermare o confutare quei modi di pensiero fondamentali che il Medioevo aveva scoperto. Se non li avete mai letti, leggeteli: a prescindere dall’essere credenti o meno, sentirete che seguendo quei ragionamenti antichi e moderni, il cervello funziona come deve, cioè dando piacere, come in una poesia ben fatta, in un esperimento riuscito, in una dimostrazione matematica rigorosa.
Qui invece vorrei concludere con un’osservazione che va un po’ oltre ciò che Berti riporta. A chi sono destinati questi argomenti? Berti, come la maggior parte degli studiosi ben riassunti dalla Stanford Encyclopedia of Philosophy, pensa che gli argomenti siano proposti per convincere un ateo o un agnostico. Tuttavia, tutti sanno che da questo punto di vista gli argomenti sono sempre stati fallimentari e non hanno mai convinto nessuno. Troppo fondo su questo punto è l’abisso della libertà umana, la cui radice è più affettiva che logica. Così, rendendosi conto di questa ben nota verità, l’articolo sugli argomenti ontologici dell’enciclopedia di Stanford si rassegna a scrivere ironicamente che forse il target di riferimento di questi argomenti sono gli studenti di ogni epoca che trovano così uno scoglio su cui battere la testa!
A ben vedere, infatti, le prove dell’esistenza di Dio non nascono per convincere qualcuno. L’obiettivo sono i credenti, a cominciare dagli autori delle prove, che sono spinti a cercare di capire come mai questa convinzione su Dio sia così forte nella propria testa e nella propria vita. Le prove così non dimostrano ma chiariscono analiticamente ciò che i gesti quotidiani fanno vivere sinteticamente. E allo stesso modo le refutazioni cercano di capire come mai, nonostante la ragionevolezza di tanti argomenti, uno proprio non riesce a pensare che Dio esista. Bertrand Russell, che sicuramente apparteneva a questo secondo gruppo, ammetteva che è molto facile dire che gli argomenti (parlava di quelli ontologici, in questo caso) non sono buoni ma è molto difficile dire davvero che cosa c’è che non funziona. Nel profondo, come si è detto, è il mistero della libertà che orienta il pensiero, come una mano l’aquilone. Ma, comunque sia questo orientamento, è bello avere l’occasione di questo libro per vedere per una volta il mondo un po’ dall’alto.