... essere importante il tema del “gesto”? I gesti non sono solo movimenti del corpo, spesso incontrollati, con cui comunichiamo i nostri stati d’animo? Oppure, al massimo, un linguaggio primitivo che poi evolve nelle parole?
No, il convegno internazionale vuole dire che questi movimenti del corpo, che vanno dalla gesticolazione ai più complessi emblemi (la celebre mano a borsa per dire “che vuoi?” o quella sotto il mento per dire “non m’importa”) per finire con le utilissime lingue dei segni per persone sorde, sono livelli iniziali di una possibilità di incarnare i significati, in modo sintetico, all’interno di azioni. Sono gesti anche le dimostrazioni matematiche e i temi in classe, gli esperimenti scientifici, i riti pubblici e privati, le liturgie religiose. Ciò che si vuol dire, e che ha una nobile storia nella filosofia della matematica francese del Novecento, è che la nostra conoscenza non si accresce intellettualisticamente pensando in modo solitario e astratto, ma si forma soprattutto agendo, toccando, dialogando (che è un gesto), disegnando, suonando, scrivendo, convivendo, amando. Si dice che si vuole bene – soprattutto in Molise – creando una cena particolare; si capisce la verità di una legge fisica creando un esperimento adeguato; si impara a suonare, nuotare, sciare solo seguendo i movimenti esemplari di un maestro.
L’analisi intellettualistica è importante, ma viene dopo, quando riflettiamo sulla conoscenza formata sinteticamente in azione. I grandi educatori di ogni genere e tipo sanno che l’educazione consiste soprattutto nel trovare i gesti sintetici che facciano capire nel senso profondo del termine, cioè che imprimano le idee nei cuori e nelle menti in modo indelebile eppure aperto alla critica e all’innovazione, in modo concreto e particolare eppure universale. Gesti sono le azioni che portano significati in questo modo, sfruttando anche tutte le potenzialità del corpo e della fisicità come quelle del sentimento e dell’abitudine.
Si radunano a Campobasso molti studiosi che hanno capito che la nostra civiltà, in piena rivoluzione digitale, ha bisogno anche di una rivoluzione nella concezione della conoscenza, un modo nuovo di intendere la sintesi, cioè l’acquisizione della conoscenza, lontana dai paradigmi intellettualistici cominciati con Kant e Cartesio. Proporranno idee e tradizioni diverse – non c’è l’ortodossia della filosofia del gesto – ma tutti metteranno in luce che abbiamo bisogno di rimettere al centro questa visibilità e sinteticità della nostra conoscenza in un mondo sempre più narcisista, ossessionato da un’analisi continua dei propri fluttuanti stati interiori.