Pensieri e pensatori in libertà


Body shaming e il problema della parola

A lezione assegno il compito di creare il teaser di un podcast e di presentarlo. Una studentessa sceglie come tema il body shaming e realizza il proprio teaser con abilità. Il teaser finisce con una testimonianza personale sulla sofferenza generata dall’essere oggetto di critiche rispetto al proprio corpo. Qualche settimana dopo, in una prova argomentativa, un altro studente, per difendere l’idea che ciascuno deve essere sé stesso, vuole utilizzare l’esempio per cui...

...ci sono “donne grasse che sono bellissime”. Tuttavia, non riesce ad usare il termine ‘grasse’ e trova la poco riuscita perifrasi di ‘donne in forma’. Allora chiedo: “ma vuole dire ‘grasse’?”. “Sì, prof., ma non potevo più farlo dopo ciò che è stato detto sul body shaming”.
Già, questo è il problema. Inutile dire che cade nel vuoto la successiva spiegazione sul fatto che il termine “grasso” è un bell’aggettivo italiano che si applica a tanti oggetti e situazioni (“pianta grassa”, terra grassa”, “martedì grasso”) e che ha un valore descrittivo prima che dispregiativo. Il problema è che la violenza del body shaming e la sofferenza che esso crea sono reali ma, allo stesso tempo, che se ci vietiamo di usare i termini che possono essere pericolosi, rischiamo di impedirci anche delle possibilità di relazioni profonde. Alto, basso, grasso, magro, bello, brutto: ogni termine può essere usato come insulto. Ma può essere anche l’occasione di un inizio di rapporto che ha tante tonalità, come l’ironia, la galanteria, l’ammirazione, lo stupore. Bisogna vietare evitando il peggio o bisogna correre il rischio sperando nel meglio?
In fondo, penso che questa sia l’alternativa di molte discussioni attuali. Viviamo in una società che, con ottime intenzioni, vuole difendersi e difendere da ogni possibile male, da ogni difficoltà. Certo, le difficoltà implicano lotta e sofferenza – e nei casi più gravi la lotta e la sofferenza del denunciare abusi e violenze e di battersi perché siano condannati – ma non sono forse esse a farci crescere, a farci diventare consapevoli del nostro valore e di quello altrui, a farci compatire chi soffre e combattere contro gli oppressori? Non solo, non è forse nelle difficoltà che incontriamo i compagni e le compagne che ci guardano per il valore profondo che siamo, per gli ideali comuni che abbiamo, per la verità che ricerchiamo?
Vorrei un mondo dove esista ancora il rischio del male perché mi interessa il bene, dove ci sia il rischio dell’insulto perché ci siano i complimenti, dove ci sia il rischio dell’inimicizia perché ci sia amicizia. Spero che i miei studenti lo scoprano e lo vivano, e che nessun legislatore lo cancelli.

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In questo numero hanno scritto:

Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro