(Segue dal precedente numero)
E così, per la prima volta in Italia, una riforma del lavoro ha un nome inglese: Jobs Act, mutuato come ben si sa, dalla riforma di Obama in America.
Per non essere da meno, l’attuale governo italiano ha deciso di immettere nel sistema che dovrebbe incrociare la domanda con l’offerta una figura il cui nome è degno dei migliori film di Schwarzenegger e Stallone: i Navigator. Senza voler essere pedanti più di tanto, facciamo solo presente (ma in rete ci sono diverse discussioni sul tema) che Navigator in Inglese è una sorta di timoniere o poco più. Forse tutor -radice latina ma termine “rientrato” in inglese– sarebbe stato più appropriato parlando di orientamento professionale. L’altra similitudine con le logiche del Jobs Act sta nel riferimento al modello americano: l’ispiratore di questo progetto è tal Mimmo Panico professore e consulente dello stato del Mississippi. Sul professore in rete circolano pochissime informazioni. Sul Mississippi ne circolano un po’ di più ma riguardano esclusivamente il blues e il KuKluxKlan. Quest’ultimo – e non il lavoro - mi sembra sia il problema più rilevante in zona.
Naviganti senza navigare
Giungo quindi a conclusione per spiegare anche il titolo (Ivano Fossati). Siamo di fronte all’ennesima riforma che non si capisce nel suo complesso se vuole essere un’azione per un maggior incontro fra domanda e offerta di lavoro o se vuole essere un incentivo a favore delle famiglie disagiate (nel secondo caso non avrebbe impatto sul sistema lavoro, ma sul sistema welfare). Il mio punto di vista, operando nelle Risorse Umane da tanti anni, è che una riforma sostanziale del sistema di contatto fra aziende e lavoratori vada fatta e i Centri per l’Impiego non siano la soluzione come non lo erano a suo tempo gli Uffici di Collocamento. Un’azienda privata, di fronte a risultati così modesti (3,5%), avrebbe chiuso o licenziato.
È evidente che i corsi di formazione per un personale che viene in larga parte dai servizi di assistenza sociale siano insufficienti, così come gli strumenti a disposizione – tecnologicamente parlando – non aiutano gli operatori più evoluti a produrre risultati se è vero che due regioni non si parlano fra di loro. Di conseguenza, come fanno notare molti imprenditori su una recente discussione su Facebook a un articolo di Francesco Seghezzi (ADAPT), ben se ne guardano di rivolgersi ai Centri per l’Impiego a meno che non si trovino proprio alla frutta. Linkedin, i blog specializzati, i contatti attivi con le aziende, la proposta attiva di candidati, newsletter e social network sono strumenti ancora futuristici per queste strutture. I nuovi Navigator, con un sistema di assunzione ancora poco chiaro, dovuto all’impossibilità dello Stato Italiano di assumere in forma diretta, rimbalzerà in parte su ANPAL. Si prevedono circa 500 milioni di investimento in 3 anni per la stipula di questi contratti e 6000 nuovi operatori per questo ruolo (va detto però che Anpal servizi ha già in pancia 530 co.co.co. e 100 lavoratori a tempo determinato che affiancano i 400 col "posto fisso" come spiegato nell’Articolo di Avvenire).
In questa operazione mi preoccupano due cose:
La qualità degli operatori. Riconvertiamo operatori provenienti da altre mansioni o da uffici che già hanno rivelato le loro inefficienze da una parte. Dall’altra mi sembrano un po’ deboli le caratteristiche richieste per il ruolo: si va dal diploma per i “tutor base” all’aver genericamente lavorato nel settore per almeno 7 anni per i “tutor professional”. Mi permetto di far presente che dal 2008 ad oggi sono usciti dalle aziende migliaia di Persone ed alcune di queste, dopo aver rinunciato a cercare un lavoro affine con il loro percorso, si sono inserite nel nuovo trend del “business coaching” affidandosi a un generico diplomino conseguito in 2 mesi (quelli che non si sono affiliati alle grandi associazioni internazionali tipo ICF che prevede un percorso di tutto rispetto) per poi andare a disastrare aziende e manager con percorsi avventurosi di orientamento e strategie imprenditoriali. La maggior parte di questi vive tutt’oggi di un mestiere sufficiente al minimo della sopravvivenza e non mi sorprenderebbe se diventassero il bacino più interessato a questo ruolo insieme ad un’altra serie di vaghi temporary manager e consulenti aziendali “a 360 gradi”. A questi aggiungerei una discreta quota di ex direttori del personale che potranno aspirare a questo ruolo ma che hanno nel loro cv rigorosamente in formato europass aggiornato a 20 anni fa, esclusivamente la qualifica di tagliatori di teste o grandi risolutori di conflitti sindacali, ma quanto di più lontano dai temi del personal branding, social recruiting, organizzazione e sviluppo che sono invece materia fondamentale per chi deve orientare le Persone.
La necessità di risolvere la questione. Le Europee sono vicine e i tempi di messa in moto di questa macchina sono oggettivamente impossibili. Attivare entro marzo tutte le assunzioni, per quanto si sia cercato di snellire al massimo le operazioni, ha ancora una volta quello strano odore di propaganda elettorale che ricorda gli 80 euro renziani (come notava qualche giorno fa Massimo Giannini) o la famosa social card causa di lunghe file alla cassa con tamponamenti reputazionali al danno di qualche anziano che ci aveva creduto davvero.
Attendiamo fiduciosi la marea.