Il passaggio: «la vita è in larga misura fatica e lavoro. Ma si può ‘sbucare all’aperto’ e rimanere ‘sbalordito’ di fronte alla bellezza dell’essere», mi ha fatto riandare con il pensiero ai miei studi liceali, tanti anni fa, quando mi appassionavo di filosofia.
Non ho più scordato, nei mille perché che assillano tuttora il mio vivere, «Il mito della caverna» di Platone, un passo della Repubblica, all’inizio del libro VII, dove è proposta la celebre immagine della caverna come rappresentazione della nostra condizione umana.
L’oggi che vivo con una certa sofferenza mi richiama quella prigione oscura dove gli uomini sono costretti a guardare ombre proiettate in parete ed ascoltare voci insensate, suoni assordanti senza logica alcuna. Sento il bisogno profondo di uscire all’aperto per conoscere la verità e la realtà delle cose e delle persone. Sento l’urgenza e il dovere di tornare alla caverna per liberare i miei compagni di vita, non nascodendomi il rischio di non essere capito e creduto.
Voglio che l’esistenza non sia recepita come un incidente casuale ma, illuminato dal Sole, convincermi e convincere che ognuno di noi ha una vita sensata, che non siamo vagabondi ma pellegrini verso un traguardo finale. La possibilità di conoscere e di sperimentare insieme il bello, il buono e il vero aumenta la speranza nel futuro, atteso non con ansia e inquietudine, ma con curiosità e stupore.