IL Digitale


Tutto quello che va su Internet, resta su Internet

Mark Zuckerberg e Sheryl Sandberg, ovvero il padrone e la COO di Facebook, controllano i dati di 2.3 miliardi di persone: chi siamo, dove andiamo, cosa ci piace e chi sono i nostri amici.

Almeno una volta al mese i due sono al centro di scandali su invasione della privacy e commercio di questi dati, come pagare $20 i ragazzini per avere il loro profilo Facebook.

Ci illudiamo di avere sotto controllo i social media che usiamo: magari LinkedIN per i contatti professionali, Facebook per i rapporti amicali, Twitter per seguire dibattiti, Instagram per condividere immagini, Snapchat per mini-video divertenti, e magari Tinder o Bumble per relazioni ben piu’ che amicali. Crediamo di poter tenere separati i nostri ruoli, e ci sbagliamo.

Grazie a cellulari, sensori e telecamere sparse ogni dove, ogni persona e’ una miniera di dati. Gia’solo camminando con il cellulare (acceso) in tasca, rilasciamo una serie di informazioni utili a ricostruire le nostre abitudini. Informazioni banali come l’uso dei mezzi di trasporto possono essere usate per estrarre piu’ soldi dal nostro portafogli. Infatti, vengono incrociate con i nostri profili social, dando un quadro completo di tutto quanto siamo e facciamo. Siamo quindi facile preda delle aziende che ci vogliono convincere sui loro prodotti o servizi, dei politici che ci devono convincere, di datori di lavoro e governi che controllano.

La Cina ha introdotto un sistema di valutazione del credito sociale dei propri cittadini. Robot rintracciano tutte le immagini ed i percorsi, per strada e sui mezzi pubblici, e decidono se una persona si stia comportando correttamente o meno. Questa misura di credito sociale ha poi un impatto determinante sulle possibilita’ di accedere al mondo del lavoro. Contemporaneamente a Londra la Metropolitan Police ha gia’ multato parecchi passanti che si coprivano il viso per non farsi riprendere dalle telecamere in strada. Grandi fratelli crescono.

Perche’ acconsentiamo? Perche’ lasciamo cosi’ liberamente il controllo della nostra privacy in mano ad aziende ed organizzazioni che lavorano contro i nostri interessi?

Innanzitutto non diamo alcun peso alla proprieta’ dei nostri dati. Con la stessa facilita’ con cui concediamo il nostro tempo, siamo pronti a condividere informazioni, fotografie, video, audio.

A questo si aggiunge che tutti questi sistemi vengono sviluppati con elementi di gamification, di gioco, per cui ci divertiamo a partecipare con amici e sconosciuti nei test piu’ improbabili, nei quiz piu’ facili, in petizioni e raccolte di opinioni solo ovvie. E ci piace far vedere al prossimo che siamo belli, che le cose vanno bene, che abbiamo successo, e quando le cose non vanno bene, postiamo comunque frasi sarcastiche che strappano un sorriso ed una condivisione di altri malcapitati.

Élite e governi ci mettono del loro, stressandoci su rischi globali come il terrorismo. Essere coinvolti in un attentato terroristico e’ 25.000 volte meno probabile che esser colpiti da un fulmine, ma intanto le nostre citta’ son piene di telecamere, non di parafulmini.

Spesso i vecchietti scherzano sul fatto che non c’erano smartphone e Facebook quando erano giovani, altrimenti oggi vivrebbero una serie di drammi famigliari e lavorativi.
Cari Millenial e GenZ non avete questa fortuna: vi convincono a raccontarvi al mondo, vi rintracciano e controllano ad ogni passo.

Come fare? Ricordandoci sempre che tutto quello che va su internet resta su internet, e che se e’ impossibile scappare da questa rete, almeno possiamo fare come le sardine ed uscire dalle maglie. Possiamo taggare qualche foto in Cina, fare commenti assolutamente divergenti su siti diversi, cercare di confondere chi ci rintraccia, e cercare di capire le fregature.

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Zafferano

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