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Torna a casa, Lettore – Parte terza

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Ogni anno tengo un corso per una trentina di dottorandi: venti ingegneri, cinque architetti, cinque medici che vanno dai 27 ai 45 anni. Le ore sono poche, e li avverto che non possono arrivare in ritardo o consegnare i compiti oltre la scadenza: scherzo preannunciando che almeno 6-7 di loro tireranno fuori scuse tipo “maestro, il cane ha mangiato il compito!”. Gli dico subito di riflettere sul verbo procrastinare, e come evitarlo. Puntualmente, dalla fascia 27-35, arrivano scuse diplomatiche ma sempre all’insegna...

... dell’imprevisto e dell’enorme carico di lavoro. Ridiamo tutti assieme quando li giustifico dicendo che la corteccia prefrontale si sta ancora formando, e che le loro “funzioni esecutive” non sono ancora quelle di un adulto. Alcuni ridono meno quando li avverto che dopo i 30 anni è il caso di farsi vedere da uno specialista, perché si entra in campo clinico.

Trenta anni prima lo sviluppo è iniziato con la messa in funzione dell’amigdala, la parte rettiliana del nostro cervello che si occupa delle emozioni. Appena nati, prima ancora di parlare, sono le emozioni che ci spingono a fare molta attenzione e relazionarci coi nostri genitori. Subito dopo è nell’ippocampo che cominciamo a costruire le nostre memorie, e se abbiamo detto alla maestra delle elementari che il cane ha mangiato il compito, proprio li dovrebbe essere il ricordo che fa partire una scarica ormonale che ci ricorda la sgridata e la vergogna. Emozione, attenzione e memoria plasmano il nostro cervello fin dai primi passi. Come fa quindi un dottorando trentenne, all’apice degli studi ed ormai molto esperto di insegnanti, compiti e scadenze, a trovarsi ancora in buca?

Le funzioni esecutive sono processi mentali sviluppati dalla corteccia prefrontale che ci differenziano sostanzialmente dall’intelligenza artificiale del ranocchio nella testa dei robot. Guidano la nostra capacità di fare attenzione, di ricordare istruzioni e fare più cose quasi contemporaneamente, alla stregua di un controllore di volo che fa atterrare e decollare gli aerei. Questo significa anche la capacità di prioritizzare gli stimoli ed evitare le distrazioni, riuscendo appunto a non procrastinare e non arrivare in ritardo ad una scadenza.

Lo sviluppo più importante di questi processi mentali avviene da bambini, quando riusciamo a soffermarci su un qualsiasi stimolo, paragonarlo attraverso analogia o metafora ad alcune delle memorie che già abbiamo nell’ippocampo, ed inserire una nuova memoria nella zucca. Attenzione, emozione e memoria sono la mozzarella, pomodoro e base della pizza che è il nostro pensiero. Se manca un ingrediente abbiamo una focaccia, il nostro pensiero viene limitato notevolmente.

Chi di voi ha sentito parlare di Ray Kurzweil e del principio di Singolarità, per cui la nostra intelligenza potrà connettersi con quella artificiale per usare la sua infinita memoria e quindi espandersi verso orizzonti mai visti, pensi ad un film horror.  Se abdichiamo la nostra memoria, non saremo più in grado di ragionare con la nostra testa e specialmente non saremo più in grado di vedere le fregature: sarà facile manipolarci.

Ecco quindi che bimbi, ragazzi ed anche dottorandi non possono passar troppo tempo su internet e schermo, perché quel mare di sollecitazioni che abbiamo descritto in precedenza li blocca nella capacità di soffermarsi, di riflettere, di prioritizzare, di pensare in termini di analogie e metafore, di contestualizzare rispetto al loro vissuto e crearsi una nuova memoria.  Quando sentite un giovane (1-35 anni) dire che si annoia, pensate ad un probabile sintomo di disagio. E’ il segnale che la mente percepisce una mancanza di stimoli, si deprime, ed il cortisolo inizia a deprimere spegnere terminazioni nervose nella corteccia, impedendo così alla mente di riflettere, di imparare.

Eccovi spiegato il meccanismo che usano gli esperti di psicologia della persuasione che progettano social media, motori di ricerca ed altre applicazioni digitali. Sfruttano la novelty bias della nostra mente stimolandoci di continuo, con stellete, like, share, e ci portano a credere che la pausa, la noia, siano un qualcosa da rifuggire. Come disse lo stesso Eric Schmidt, ex-CEO di Google ed ancora al vertice dell’azienda: “Ho paura che il livello di interruzioni, quella rapidità enorme con cui riceviamo informazioni..stia infatti alterando le nostre capacità cognitive. Ci impedisce di pensare veramente.” Da che pulpito vien la predica.

Se siete nella fascia 1-35 o avete figli di quell’età, staccate la spina. Prendete delle pause per leggere libri di carta, ascoltare musica lontano da uno schermo, per scrivere il vostro diario giornaliero, per stare all’aria aperta e lavorare sui tre ingredienti che ci rendono diversi dal ranocchio artificiale: liberi.

Se volete fare un esperimento casalingo, riprendete un qualsiasi libro che non aprite da anni e di cui conservate un buon ricordo, e provate a rileggerlo. Scegliete un momento tranquillo del weekend, fuori dalla frenesia lavorativa. Dopo mezz’ora proverete una sensazione di sconforto: quelle frasi vi sembreranno troppo complesse, il testo non scorre come lo ricordate: vi ricordate come prosegue il libro ma vi annoiate. Se questa sensazione è forte e provate fastidio nel continuare a leggere, l’intossicazione da social media e schermo digitale ha fatto effetto. Ora di andare al parco.

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