L’intelligenza artificiale è fondata sulla matematica, lingua della Scienza, che cerca di capire il mondo. Al contrario il design cerca di capire come potrebbe essere il mondo, una differenza fondamentale.
Lasciare l’intelligenza artificiale ad ingegneri, matematici, ed a chi ha un problema concreto da risolvere, ci mette in un guaio: l’esperto vuole utilizzare lo strumento conosciuto per far meglio, più velocemente, con minori costi, quanto ha in testa chi conosce il problema. Ma quando hai un martello in mano, tutto ti sembra un chiodo. Gli effetti di questo approccio sbagliato alla digitalizzazione, ossia spolverare tecnologia ed intelligenza artificiale su un prodotto o un processo analogico, sono scontati: nessuna creatività ed effettivo aumento dei problemi.
Pensate ad un qualsiasi processo dell’amministrazione pubblica, dal rifare il passaporto a gestire un passaggio ereditario: posso metter tutta l’intelligenza artificiale del mondo, ad esempio nella verifica delle identità coinvolte, ma se poi continuo a chiedere firme, cartacce e marche da bollo, ho solo incasinato un processo già decrepito di suo. O pensiamo allo sviluppo di nuovo prodotto, ad esempio una scarpa da ginnastica: se chiedo all’intelligenza artificiale di crearmi un modello nuovo, non uscirà altro che un pot-pourri di scarpe precedenti, senza nessuna vera innovazione.
Il design, ossia lo sforzo di immaginare e capire come potrebbe essere un prodotto o un processo, deve necessariamente partire prima che qualsiasi ingegnere smanetti sugli algoritmi e sulla marea di dati, che rischia di prendere a caso. Serve sempre l’esperto dell’applicazione, ad esempio chi conosca bene la scarpa da ginnastica, le sue caratteristiche e perché possano piacere o meno, essere pagate a caro prezzo oppure no. Ma se voglio costruire un’intelligenza artificiale in grado di sviluppare nuovi modelli, che siano diversi da quanto fatto in precedenza e contengano un vero elemento di creatività, occorre fare dei passi preliminari.
Innanzitutto, pensare ai diversi punti di vista, alle metafore con cui comunichiamo, alle stesse parole che usiamo per descrivere quel prodotto. Una scarpa da ginnastica deve essere flessibile, giusto? Flessibile per poter correre senza farci venir le vesciche, o flessibile per poterla indossare tanto quando facciamo sport, quanto per andare in ufficio? Una sola parola: due prospettive diverse, entrambe azzeccate, che ci portano in direzioni diverse. Da un lato verso la scienza dei materiali, per avere una suola e tomaia con determinate caratteristiche fisiche e dinamiche che reggano pesi ed usura. Dall’altro, ancora sui materiali e sulla scelta cromatica per avere un prodotto che sia al contempo comodo ma anche elegante a sufficienza da poter calzare in ufficio o nelle occasioni serie.
Ecco l’utilità fondamentale del design nell’intelligenza artificiale: creare il contesto, i significati e l’ontologia che servono ad ingegneri e matematici per orientarsi tra i diversi algoritmi e scegliere quelli che danno più spazio alle prospettive diverse del problema da risolvere. Una volta allenati sui dati, questi saranno messi in concorrenza tra loro per vedere quali offrono risultati più interessanti, ed infine sarà l’esperto delle scarpe da ginnastica, ed in ultima battuta il mercato, a dire quanto ha funzionato il robot.