Questo interrogativo, in ogni epoca e scuola, non può essere eluso, poiché ad esso è indissolubilmente legata la questione del senso dell'esistenza umana. Ricchezza e potere, successo e benessere non riescono ad offrire risposte convincenti alle nostre attese più profonde, anzi, sembrano depistarci e confonderci sempre di più, distogliendoci dalla ricerca di una felicità autentica e duratura. Oggi, più che mai, l’uomo si accontenta di vivere alla giornata, immerso in un benessere effimero ma più sicuro di una felicità avvertita come utopica e irraggiungibile. Sono pochissimi i genitori e gli educatori disposti a mettere al primo posto, nel cammino che condividono con i giovani, la ricerca della felicità. L'obiettivo è stato quasi del tutto rimosso dall'orizzonte delle loro aspettative, perdendo di vista il fine ultimo del loro compito che è quello di aiutare figli e allievi a orientarsi, in una realtà sempre più "liquida" e "complessa", a costruire un progetto di vita. Anche se è pressoché impossibile dare una risposta univoca alla questione della felicità si può forse concordare, senza troppa difficoltà, che la felicità coinvolge tutta la persona, permettendole di sperimentare un senso di pienezza e di serenità interiore. È una virtù regalarsi la possibilità di diventare capaci di gioia anche in mezzo a fatiche e problemi di ogni tipo. Ciò che conta è riuscire a stare in pace con sé stessi e con gli altri, essere generosi nei confronti degli appelli della storia, essere pronti a condividere la costruzione di una civiltà dell'amore in cui a tutti sia data la possibilità di un effettivo benessere. La pienezza di vita è giocare la propria esistenza sulla generosità, sulla condivisione, sulla solidarietà, sulla giustizia, sulla bellezza, sulla pace, essenziali ingredienti per un mix di speranze e di positive esperienze. Ci illudiamo, inutilmente, cercando la pienezza di vita sempre all'infuori di noi, mentre essa dipende da ciò che abbiamo dentro di noi. Per compiacersi di ridere delle ostentazioni dei potenti occorre il coraggio di disprezzare tutto ciò che è illusorio. Il reale benessere e il pieno appagamento che riempiono un cuore vuoto sono, per molti versi, inafferrabili, indicibili. L’uomo deve liberarsi dalla paura di affrontare l’avvenire, deve padroneggiare, con la sua parte razionale, le componenti del concupiscibile e dell’irascibile, mirando a valori spirituali più profondi, cercandoli nel vissuto che ne dà la misura in un “ponderato raffronto tra gioie e dolori, entrambi indispensabili per una vita ben temperata” (Zygmunt Bauman). La felicità è una condizione spirituale di ordine e armonia interiori che si sperimenta anche in circostanze di assenza e privazione; non è un’emozione, ma uno stato esistenziale costruito da un vissuto interiore e dalla natura spirituale dell’essere umano. Tutte le risposte alla domanda “cosa è la felicità”, fanno riferimento a una condizione di pace e armonia che prescinde da fattori esterni. «Dobbiamo imparare a farci invadere dal vuoto» (Raffaele Morelli) la cui coscienza non ci conduce a frustrazione ma spazza via l’inutile ed evidenzia l’essenziale. “Il vuoto” che rischia di essere scambiato per “il puro nulla”, nei fatti è il serbatoio di infinite possibilità. (D.T. Suzuki) Toccare il fondo del nostro abisso più ombroso, rinnegare le futili cose che alienano la vita e risalire con ricchezze interiori e nuova forza vitale è in realtà una gestazione che ci mette in grado di scorgere la Felicità. Solo separandoci dalle compensazioni con cui ci narcotizziamo raggiungeremo quello stato di felicità, di appagamento continuo che appartengono, però, a un altro ordine della realtà. “Le cose che occhio non vide, e che orecchio non udì, e che mai salirono nel cuore dell'uomo sono quelle che Dio ha preparate per coloro che lo amano”. (san Paolo)