Oggi come oggi nel mondo globale le cose sono talmente cambiate che l’Italia con i suoi
aneddoti sembra solo un piccolo punto sul mappamondo, ma uno ve lo racconto lo stesso. Ricordo che per farmi conoscere portai una cartellina scura contenente alcune fotografie dei miei quadri attaccati con lo scotch su un cartoncino. Non conoscevo nessuno, non avevo fatto mostre collettive di quelle che si fanno da giovani, perché ero andata a lavorare, in televisione prima, e poi nel teatro e nell’opera. Dunque lasciai senza grandi speranze le foto all’assistente di galleria e il numero di telefono dello studio: invece con mia meraviglia mi chiamarono, fissando un colloquio con il gallerista pochi giorni dopo.
In quel momento la galleria aveva intorno a sè un gruppo di artisti di valore e l’atmosfera era molto competitiva. Penso che questo derivasse dal fatto che nessuno volesse finire "in serie B", pena l’espulsione dai "giusti percorsi" del successo. Anche dove inizia e finisca esattamente "la serie B" non l'ho mai capito del tutto.
All’indomani dell’inaugurazione della mia personale mi fu comunicato che la mostra era stata già tutta venduta (oggi, per molti artisti, sarebbe un piccolo miracolo) ma con un certo sospetto il gallerista aggiunse che forse il mio lavoro era "troppo commerciale". Credo che non amasse le sorprese, anche quelle positive.
Ripensando a tutto questo mi viene in mente il trittico degli addii di Boccioni del 1911. Tre tele collegate tra loro, “Gli Addii”, “Quelli che vanno”, “Quelli che restano”: un inno malinconico alla vita nel suo farsi, sempre attuali e fuor di metafore.