Musica in parole


When the Saints…

La nuova trasmissione di Renzo Arbore, in queste settimane su Rai2, nella prima puntata ci ha regalato una bellissima performance di Louis Armstrong e Danny Kaye che in un video d’epoca cantano When the Saints go marching in.

Il famoso brano ha radici profonde e appartiene a quel corredo di canti spirituali che gli schiavi afroamericani intonavano in America durante cerimonie religiose nascoste, soprattutto funebri. Senza paternità, trasmesso oralmente, dalla fine del XIX secolo lo spiritual è uno dei pezzi che gli ensemble di ottoni suonano ai funerali nell’area intorno a New Orleans: i cosiddetti "jazz funeral" in cui una band accompagna la sepoltura di membri della comunità afroamericana, principalmente. Un rituale preciso: brani lenti e cadenzati durante la processione che poi in chiusura di cerimonia lasciano il posto a pezzi dal sapore jazzistico, spesso briosi e dal tipico swing. 

The Saints, brano di grande impatto ritmico, conosce col Novecento una grande diffusione; ognuno lo interpreta alla sua maniera, a volte si cambia qualche verso e muta anche destinazione d’impiego, non solo funerali insomma; sempre più suonato, in chiave jazz ma anche gospel, blues, folk e poi rock.

Alla fine degli anni Trenta, Armstrong, ormai protagonista del panorama jazzistico americano e star del cinema, torna a esplorare gli albori del jazz; così rinasce il suo interessamento per quella canzone che diventerà per lui iconica, registrata moltissime volte e da allora quasi sempre eseguita a chiusura dei suoi live set. Nel testo, il richiamo alle trombe del giudizio divino non può che sposarsi bene con l’inconfondibile suono della tromba del grande Louis.
The Saints è stata reinterpretata negli anni da altri artisti famosi; Bruce Springsteen ne ha fatto un canto meditativo probabilmente vicino allo spirito delle origini.

Tuttora c’è sempre una ragione per cantare questo pezzo che si sente anche a Natale e a Carnevale; cori gospel e bande musicali lo propongono di continuo ed è stato scelto come inno da non pochi team sportivi (e si sente tra i cori dei tifosi).  Il brano è ancora collegato agli eventi funebri, ad alcuni in particolare come ci hanno mostrato dagli Stati Uniti le cronache delle settimane scorse intorno alla morte di George Floyd.

A New Orleans resta di casa in ogni veste, sempre caratterizzato da quello swing che, come ha detto Arbore in trasmissione "è come il coraggio di don Abbondio, se non ce l’hai non te lo puoi dare".

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In questo numero hanno scritto:

Giordano Alborghetti (Bergamo): curioso del software libero, musicofilo, amante del mare
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Tommy Cappellini (Lugano): lavora nella “cultura”, soffre di acufene, ama la foresta russa