Ho acquistato di recente alla libreria Libet di Milano, luogo di egregia bibliofilia, due bei volumi dove sono raccolti moltissimi scritti di René Magritte. Sono rimasta stupita dalla quantità di analisi, poesie, interventi, piccoli racconti e giochi surrealisti che vi ho trovato. Ma più di tutto - però poi potevo anche immaginarlo - mi ha sorpreso la scoperta che Magritte, giovanissimo, scriveva romanzi polizieschi: li firmava “Renghis dètective”, dalla contrazione dei suoi nomi René e Ghislain. Aveva una grande passione per il “gioco del detective”, per Fantômas e i romanzi gialli.
Ma ovviamente ciò che più mi ha affascinato sono i suoi pensieri sulla pittura, la sua devozione alla competenza: conoscere le risorse materiali di cui si dispone e usarle rigorosamente secondo le leggi delle loro sostanze. Il pittore deve sempre essere un tecnico competente, a suo parere, padrone e non schiavo del suo mestiere. Benché eccezionale innovatore, la sua pittura rimane assolutamente classica e ben eseguita.
Ciò che conta davvero per lui è sconvolgere l’ordine delle cose: mostrare quanto il mistero, l’enigma rappresentato nelle sue opere, possa diventare la prova più convincente della rottura con l’insieme delle nostre assurde abitudini mentali, che generalmente sostituiscono il sentimento autentico dell’esistenza.