Ci sono tante immagini religiose che ricorrono in questa dottrina: la luce del mondo, l’inizio di una nuova era, l’età dell’oro. Sono tutte immagini che si mescolano con la storia religiosa e, non a caso, è stata un’inaugurazione ancor più religiosa del solito, con la benedizione di preti e vescovi cattolici, pastori di varie chiese protestanti e di vari colori di pelle, rabbini ebrei.
È difficile capire qualcosa dell’America senza capire il calvinismo puritano, nei suoi pregi e nei suoi difetti. Trump ha disegnato il ritorno alla dottrina dell’eccezionalismo nella sua chiave più religiosa: l’America deve essere il luogo della libertà senza restrizioni, dell’equità basata solo sul merito, della fede in un Dio che premia i coraggiosi. Allo stesso tempo, ciò vuol dire anche una commistione di potere politico e aspettative religiose, di dedizione e fanatismo, che sono estranee alla storia di separazione di ambiti propria dell’Europa con la sua cultura cattolica, luterana e social-democratica.
I primi passi della nuova amministrazione sono coerenti con questa immagine togliendo tutti i vincoli che riportavano l’eccezionalità americana a una politica e a una cultura identiche a quelle europee e, potenzialmente, a quelle mondiali, come voleva la globalizzazione post-1989. L’America esce dai piani globali su clima e sanità perché farà da sé, applicherà proprie policies di uguaglianza e controllo che non condividerà con l’Europa, proverà una strada autonoma di ascesa economico-politica. Musk ha chiosato in un’intervista altrettanto apocalittica dicendo: “o riuscire o morire tentando di riuscire”.
Qui si aprono tante domande. È un piano sensato e plausibile? Riuscirà a convincere gli americani? È pericoloso per il resto del mondo?
Ci confronteremo negli anni su tutto questo e non è facile fare previsioni. Di certo un’osservazione immediata da fare è che, per una volta, si tratta di cultura prima che di politica. È proprio la posizione culturale, filosofica e religiosa, che oppone le due parti d’America. L’eccezionalismo contro il globalismo è il corrispettivo religioso del confronto filosofico tra common sense (il buon senso) – anch’esso citato nel discorso inaugurale – e la woke culture (la cultura del risveglio). Sembra strano che con tutti i problemi di cruda economia e di geo-politica il confronto sia innanzi tutto culturale e così non è stato per molto tempo. Ma questa è la verità: alle volte le idee contano persino più dei dati materiali.
La seconda osservazione è che l’eccezionalismo risuona molto profondamente nell’animo degli americani. È il loro mito fondativo che Trump ha ricordato: abbiamo conquistato territori selvaggi, abbiamo steso ovunque i tracciati delle ferrovie, siamo andati sulla Luna, abbiamo vinto due guerre mondiali, abbiamo sconfitto comunismo e fascismo. È l’epopea della frontiera, a lungo orgoglio di tutti gli americani, e osteggiata dalla woke culture come storia di violenza e sopraffazione. Nel novembre scorso più di metà degli americani ha deciso che preferisce tornare a questo mito, persino attraverso un personaggio particolare come Trump, piuttosto che abbandonarlo. Adesso vedremo se riusciranno a restaurarne l’immagine, dopo quasi vent’anni di autocritiche.