Tecnosofia


Tutti su Marte!

Chi di voi si è beato come me dei film di Fantozzi, ricorderà quando in ossequio alla passione per la bicicletta del Magadirettore Ereditario Visconte Cobram, Fantozzi e colleghi improvvisano all’uscita dal lavoro un “tutti a Pinerolo!”. Impresa improba essendo la loro sede aziendale a Roma. Ma era una boutade, ovviamente. Girato l’angolo, …tutti a casa!

Qualcuno oggi invece prende seriamente l’ambizione di andare a popolare Marte: Elon Musk.

Le condizioni ambientali sono quanto meno ostili alla vita umana, e richiedono enormi sforzi tecnologici per essere affrontate. L’atmosfera marziana è composta per il 95% da anidride carbonica (CO₂), circa 2,7% azoto (N₂), 1,6% argon (Ar), e tracce di ossigeno (O₂) e vapore acqueo: non è respirabile. La pressione è cento volte più bassa che sulla Terra e, se non protetti da tute o ambienti pressurizzati, si muore in pochi minuti per decompressione e asfissia. L’assenza di un campo magnetico, a differenza della Terra, espone poi a radiazioni cosmiche e solari potenzialmente letali. La temperatura superficiale media è di circa -63 °C, ma può variare significativamente a seconda della stagione e della latitudine. In estate, le regioni equatoriali possono raggiungere i 20 °C, mentre in inverno le regioni polari possono arrivare a -140 °C.

Se mai arrivassimo lassù dovremmo ricreare le basi della nostra sopravvivenza quasi integralmente. Prima di tutto occorrerebbe vivere in ambienti pressurizzati schermati dalle radiazioni e isolati termicamente. Poi, dovremmo produrci integralmente l’ossigeno, che ci serve per respirare e come carburante, per elettrolisi dalla CO2 largamente presente. Non dovrebbero poi mancare per uscire da questi habitat e fare due passi delle tute spaziali hi-tech. Per il cibo dovremmo coltivare piante in spazi chiusi, magari sfruttando la stessa abbondante CO2 per accelerare la crescita come si fa qui sulla terra nelle serre olandesi. Per l’energia sarebbero invece da privilegiare pannelli solari e reattori nucleari compatti. Al minimo errore poi, le speranze di salvarsi sarebbero marginali, tanto che c’è chi ipotizza che i primi abitanti di questi luoghi “artificiali” potrebbero essere dei robot cavia.

Su questo ipotetico backup planetario potrebbero poi salvarsi, almeno per quanto prevedibile nei prossimi 50 anni, poche centinaia di persone, il che rende quella colonia un simbolo più che un’arca salvifica. Il costo per persona del viaggio è e stimato oggi in centinaia di milioni di dollari. Insomma, questo Piano B è in fondo assurdo per costi enormi, rischi enormi, infrastrutture inesistenti e colli di bottiglia strettissimi per il trasporto verso e da quel pianeta.

Mi si dirà, vuoi mettere il progresso scientifico-tecnologico? Le sfide per la supremazia geopolitica? Lo spirito pionieristico dell’umanità che da sempre ci ha reso esseri raminghi e esploratori?

Penso che con quello che sta passando il pianeta Terra in questo momento il modo migliore per andare dritti verso una “fine del mondo” è dimenticarsi delle sfide locali, per proiettare menti e intelletti altrove. Di Piani B se ne possono costruire qui da noi e di questo parleremo la prossima settimana.

A presto.

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