Condivisibili o meno, ho sentito pensieri originali da due professori emeriti al Fantasy-festival di Ferrara. Il primo è del prof. Botturi, già ordinario di filosofia morale presso l’Università Cattolica, che ha parlato dell’Europa in chiave di Barocco. Secondo Botturi è il barocco la cifra positiva di quello che l’Europa è come natura e dovrebbe essere come ideale: il barocco, che tanto occupa dell’architettura e dell’arte europea, è l’epoca in cui possono convivere la luce e l’ombra, il grande e il piccolo, il fantastico e il mostruoso. Per Botturi l’Europa è un luogo di identità perché ci sono differenze. È l’Europa uniformante che non va, quella che tenderebbe a trasformarci nel sistema cinese attuale: un’unica app per tutti, un perenne tracciamento, l’impossibilità di un pensiero divergente, un enorme moralismo. Ogni tanto Botturi sembra un po’ essere senza speranza per questa Europa tecnocratica, ma il viaggio tra i tagli di luce di Caravaggio e di Borromini, di Cartesio e Vico, mi convincono: come il barocco leccese, siamo la fioritura paradossale delle diversità, non l’applicazione dell’uniforme.
Nel medesimo Festival ferrarese parla anche Rocco Buttiglione, parlamentare di lungo corso, oltre che professore di filosofia politica. È in quest’ultima veste che interviene. Per Buttiglione l’Europa dei padri (De Gasperi, Schumann, Adenauer) è una mitologia che non si è mai realizzata. Invece, ciò che si è realizzato è l’Europa generata dalla caduta del muro di Berlino (1989) e dall’allargamento a Est, guidato da Helmut Kohl. È un’Europa che nasce con forti valori liberali, cristiani e socialdemocratici, un’Europa popolare, che si infrange nel 2005 con la bocciatura dell’articolo sulla cultura della possibile Costituzione. Secondo Buttiglione l’Europa che esce dal trattato di Lisbona (2007) vuole reggersi non sulla cultura, tanto meno su quella barocca, ma solo sulla base di trattati economici, finendo poi per essere sconfitta dalla crisi del 2008, dal Covid e dalla guerra ucraina. Per Buttiglione occorre allora rivedere i trattati, ricominciare dalla cultura, come vorrebbe Macron, ma con valori opposti a quelli di Macron.
Bravi e interessanti i due pensatori, e c’è molto di vero in ciò che dicono. Rimangono poi i dati del crudo realismo. Dell’Europa non si può fare a meno per ragioni economiche né si può pensare di lasciarla (abbiamo i debiti ormai incrociati e in comune). Chi se n’è andato, del resto, non è incorso nell’apocalisse sostenuta da alcuni, ma neanche nell’eldorado promesso da altri. Senza Europa non reggiamo economicamente e scompariamo del tutto politicamente. Certo, è una costruzione particolare, la prima della storia che non nasce da un evento fondante, ma per evitare che si ripeta una guerra ormai superata. Qui sta la sua debolezza: senza eventi fondativi, è difficile avere dei popoli. Così siamo uniti ma non abbiamo un popolo comune. Abbiamo idee ma non ideali. Parliamo insieme nell’unica lingua che non è di nessuno dei partecipanti. Condividiamo passato e cultura ma non vogliamo riconoscerlo. Cosa fare dunque? Forse, dovremmo fare come nell’incontro ferrarese, cercando innanzi tutto di capire: capire dove siamo capitati e che cosa voglia dire essere “europeo”. Se non vuol dire nulla, saremo comunque spazzati via dalla storia. Se vuol dire qualcosa, abbiamo urgentemente bisogno di scoprirlo.