LA Caverna


L’eclissi dell’impegno politico e il riflusso nel privato

Tutti i giorni le agenzie d’informazione si dilettano nel riportare notizie di politici opportunisti, di azionisti onnipotenti, di iniqui padroni di “tecnologie selvagge” che sacrificano ogni pienezza di vita a una carriera fine a sé stessa e che, piegando gli urgenti bisogni delle comunità ai propri interessi, sostituiscono l'ambizione privata al bene pubblico. Sono sirene ingannatrici che nascondono l’erodersi dei grandi valori con i miraggi del tornaconto personale. 

Le scelte politico-economiche, docili ancelle di poteri occulti, provocano disagi e sofferenze a volte così svariate da non saperle più riconoscere. Rimandi, furbizie, ingiustizie e contraddizioni, una burocrazia senza volto, rivelano il dilettantismo di quanti governano il Paese per guadagnare consenso e un successo rapido e a tutti i costi, senza minimamente convenire che una politica onesta richiede competenze, riflessione e dialogo, modestia e misura. Si continua, invece, a sedurre una “massa”- non più “popolo” - impreparata e vittima di una mentalità che, pur nel rispetto formale della democrazia, favorisce il diffondersi della “dittatura del relativismo” (Benedetto XVI).

Questo universo “unidimensionale” di teoria e di azione, in cui è scomparsa ogni forma di pensiero critico e di comportamento di opposizione, mentre apre apparenti maglie di tolleranza e dialogo, promuove inaudite forme di “cultura della morte”. «Tutto questo ha dei costi sociali molto alti. Impedisce la convergenza su valori comuni, disarticola i contesti sociali in tanti percorsi contrapposti, mette in crisi lo Stato di diritto, ferisce mortalmente la giustizia, smorza la sensibilità etica, fa sorgere conflitti laceranti». (Giampaolo Crepaldi, Bene comune e questione antropologica) Per far fronte alla sfida posta dalla crisi contemporanea è necessaria la convinzione che esiste “un bene comune, cioè un insieme di condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente” (Gaudium et Spes, 26).

Solo un’idea di bene comune è in grado di porre in modo forte il tema di una società politica mondiale, che cerca di raggiungere il bene comune universale. (Jacques Maritain) Tale bene comune, però, non è concepibile senza una verità sull’uomo che faccia da anima e guida per un’azione sociale e politica. La questione sociale è una questione antropologica. Presentandosi drammaticamente il problema del ruolo pubblico nell’“indisponibile” e nell’“incondizionato”, è messa in pericolo la stessa natura umana. Il potenziale di deresponsabilizzazione e di delega e l’inarrestabile predominio di tornaconti privati, rendono eticamente doveroso fissare al centro del comune interesse “la relazione”.

La metropoli è “lo spazio del common, di persone che vivono insieme, comunicano, scambiano beni e idee” (M. Hardt, A. Negri, Comune. Oltre il privato e il pubblico, Rizzoli, Milano 2010). Il rapporto tra azione politica e vita, per lungo tempo apparso indiretto, filtrato da mediazioni ordinative di carattere giuridico-istituzionale, deve assumere la forma di una connessione sempre più stretta e vincolante. In questa fase storica povera di speranze condivise, senza confronto e dialogo tra parti civili e istituzioni, con una classe dirigente inadeguata, uomini onesti sensibili al bene comune e operatori sociali sono chiamati a riaccendere quel senso dei “corpi intermedi”, quelle attività di volontariato e di solidarietà con i vari movimenti associativi svigoriti o smontati dall’attuale verticalizzazione dell’organizzazione istituzionale.

Un fermento partecipativo dal basso è una scelta fondamentale per riportare le classi sociali più attive a elaborare e programmare iniziative che superino e resistano alle forme istituzionali, giuridiche ed economiche le quali, più che tendere a controllare e disciplinare i comportamenti, plasmano le menti, non costringono ma seducono senza più incontrare resistenza, perché ogni individuo ha interiorizzato come propri i bisogni del sistema. (Michael Hardt e Antonio Negri, Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione, 2002; Byung-Chul Han, La società della stanchezza). La nuova frontiera è quella di un fare politica che sia consapevolezza critica dei valori in gioco.

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In questo numero hanno scritto:

Umberto Pietro Benini (Verona): salesiano, insegnante di diritto e di economia, ricercatore di verità
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro

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