Nel 2010 è una comunità semiautarchica trascurata dal tardo capitalismo, immobile in un presente parallelo dove il vento non soffia mai. Le casse comunali sono quasi vuote e perdere il lavoro significa rimanere disoccupati a vita. Ma gli scarsi tetti rossi, le strade fiancheggiate dai peri ricurvi, le linee diritte dei pini e degli orizzonti integri sembrano attirare alcuni berlinesi con sogni bucolici come vecchie cartoline. Si ricompone così una società di indigeni e di forestieri in precario equilibrio fra antichi rancori e forme di baratto, consistendo il modesto potere di ognuno nell’accumulare dei crediti relazionali da esigere alla bisogna. Finché una politica centrale ridotta a mero intrattenimento decide di incentivare le energie rinnovabili, sovvenzionando una decina di turbine eoliche. Ed è subito corsa alle mappe del catasto, con due improvvise fazioni a fronteggiarsi in nome di due opposte cause comuni, ognuno spinto da motivi personali diversi.
Suddiviso in capitoli intitolati ai singoli personaggi, il libro dapprima sconcerta come le opere russe, inducendo il lettore a chiedersi: ”Ma questo chi era?”. E lo smarrimento iniziale non è tanto dovuto al numero dei protagonisti, quanto al fatto che ciascuno pensa di essere diverso da come gli altri lo vedono, sicché i caratteri e gli eventi vanno via via sfaccettandosi secondo una sorta di thriller umano e legale, intendendo per thriller non tanto il genere specifico, quanto un disegno ad incastri di consumata abilità linguistica e compositiva: teso, eccitante, ricco di risvolti psicologici, di dialoghi e riflessioni esemplari, di sfumature poetiche e di competenze specifiche, nonché di macchinazioni dagli esiti imprevedibili.
L’ex proprietario terriero sa che le parti possono dirsi soddisfatte se una ha potuto parlare e l’altra non ha dovuto ascoltare; il comunista irriducibile comprende che una buona memoria non smette mai di verbalizzare l’ingiustizia, e chi si rifiuta di dimenticare rimarrà solo; l’affarista che odia il tempo libero e quello perso scopre che la ricchezza consente il lusso di ignorare anche i propri interessi; la ragazza che sussurra ai cavalli persegue ad oltranza l’imperativo di amare i nemici dei suoi avversari come se stessa, così come il verboso ornitologo avverte con sgomento che al mondo c’è tanta violenza perché essere violenti è sorprendentemente facile...
Pubblicato nel 2016 in Germania, Turbine è stato giustamente un importante caso letterario ed ha riscosso un grandissimo consenso anche per la notorietà dell’autrice ( ex giurista e figlia quarantaquattrenne di un direttore del Bundestag, con una decina di successi all’attivo , tradotti in tutto il mondo). Mentre in Italia è passato del tutto inosservato. Forse perché la nostra letteratura nobile è ancora legata a microcosmi da strapaese postbellico, oppure perché risulta sospetto essere arditamente attuali (sì Tav, no Tav) e nel contempo sofisticatamente classici in 617 fluidissime pagine (da cui, per gusto ed orecchio personali, avremmo espunto l’epilogo, chiudendo su uno dei finali più possenti degli ultimi anni). Eppure in questo romanzo c’è tutto: un’idea forte di morale quando quella collettiva si dissangua in rivoli di individualismo ludico o rabbioso; una rappresentazione acuta della politica occidentale; il recupero in chiave contemporanea di tutte le passioni in conflitto, tra la speranza e la rinuncia, la tenerezza e la ferocia; e poi la fecondità inventiva, il realismo, l’ironia, l’intrattenimento, la suspense, lo stile personalissimo, con tanti aforismi da trasferire nel proprio piccolo vangelo da viaggio.
Turbine di Juli Zeh, Fazi 2018, 617 pagine, 18,50 euro