Usi, costumi, la prassi delle leggi, la letteratura e la musica, da Edgar ai post-Beatles. Del computo di pen-nies-scellini-sterline-ghinee senza fare errori-nails-pollici-piedi-yarde-rod-braccia-miglia nautiche e terrestri o infine i drams-once-libbre-stones-tod e su su fino ai tons: insomma, una fanciullezza infelice, ora che la Brexit, one-way-or-the-other, diventerà realtà. Quindi, per tagliar corto, a me dispiace, molto.
Vista dal Quartiere Europeo, dall’Institutional Square Mile di “Brussels”, un certo scoramento lo provoca. Nelle diverse DG ci lavorano da tempo a prevedere effetti, necessità normative, tempi e fasi di adattamento, ma adesso ch’è qui si scoprono tut-ti un po’ disarmati e non adeguatamente preparati a far finta di niente. O addirittura a rallegrarsene.
Jean-Claude Juncker non ne può però più di sbaraccare la sua agenda per far posto alle visite improvvisate di Theresa May o dei suoi sostituti estemporanei per tentare soluzioni dell’ultimo minuto: “Lo fa per spirito di servizio e per tentare l’impossibile”, mi dicono quelli che gli stanno attorno.
I Leporello della Commissione avevano preparato almeno sette diversi approcci su misura per accompagnare dolcemente, mitigare shock di qua e di là della Manica. Insomma, per fare in modo che i Brexiteer si sentissero appagati, ma che i Remai-ners non soffrissero troppo (e così pure i camionisti, i commercianti, gli import-export di verdura e frutta dalla Francia e dalla Spagna, i wine merchant del bordolese e gl’incravattati della finanza francofortese, secondo la potenza delle rispettive lobby).
Pure il Regno dei Belgi, solidarietà fra monarchie, ha fatto del suo meglio per accogliere sofficemente nei ranghi degli elettori (e dei versatori di onerosi tributi) svariate centinaia di Brits che in Belgio lavorano da tempo accordando senza troppe complicazioni nazionalità e passaporti come fossero ballotin di praline e macarons. I comuni più anglicizzati di Bruxelles, infatti, hanno accantonato per qualche mese le richieste di altri cittadini per creare una informalissima corsia di sorpasso per i nuovi cittadini ex-britannici, felici di passare a documenti in franco-fiammingo pur di rimanere legittimamente nelle loro posizioni professionali e non avere troppe complicazioni nei loro matrimoni misti e interessi ripartiti nei due paesi. Certo, avremmo apprezzato tutti una certa dose di reciprocità...
Del resto, Léopold Georges Christian Frédéric di Sasso-nia-Cobourgo-Gotha-Saalfeld, primo Re del Belgio, era sulla strada di diventare il futuro Principe Consorte della possibile regina Charlotte del Galles, figlia dell’erede al trono e allora principessa, e di cui rimase vedovo a 27 anni. Quando venne prescelto, e accettò il trono dei Belgi, approdò a Ostenda dalla Gran Bretagna, dopo avere garbatamente declinato il trono greco a cui era pure designato. Un déjà-vu datato inizio ‘800. Una relazione di deferenza verso la corte di San Giacomo consolidata dalla sottile parentela.
Tutto questo però non lenirà iniziali effetti della qualsivoglia Brexit e degli strascichi a lungo termine che si produrranno indipendentemente dalla sua forma e dalle creative eccezioni, deroghe e cavilli che si troveranno.
“Gli Inglesi” permeano fittamente la magliatura della burocrazia UE, gestiscono alcune fra le più accreditate consultancy di affari istituzionali europei (officine di eccezionale lobbismo multiclient), sono molto attivi nell’esercizio delle porte girevoli che reimpiegano nel settore dell’influenzamento legislativo privato un buon numero di funzionari in uscita dalla Commissione o dalla vita politica.
Inoltre, sono made in UK svariati influenti e pervasivi prodotti editoriali specializzati per parlamentari, Commissione, servizi di lobby. Si tratta di osservatori legislativi, monitoraggio di tutto ciò che “l’Europa” pubblica e decide, newsletter, specializzatissime e carissime, che rappresentano le fonti a cui si riforniscono spesso gli stessi legislatori. Un mercato, quello di quest’ultimo capoverso, stimato comodamente in circa 850 milioni di Euro solo per l’impatto sul quartiere europeo.
La cifra è al netto del fatturato dei pub attorno al Berlaymont che battono bandiera irlandese, almeno nei nomi, e del butcher di lusso dai tagli inglesi e irlandesi di rue Franklin e Chaussée de Waterloo (nomen-omen) che ha chiuso i battenti poco più di un anno fa temendo l’esodo della clientela. O della chiusura di Mark&Spencer che accumulava perdite nell’impari lotta fra la gastronomia britannica e il melting pot delle cucine e dei sapori brussellesi.