Anch’io ho testato i meriti dei sensori che mi dicono quanto e come corro, quanto e come dormo, e se la mia dieta sia o meno bilanciata, ma da bieco ingegnere non ho le competenze per verificare che questi suggerimenti che ricevo su computer o cellulare siano corretti o meno. So dire che sono ripetitivi e noiosi, ma e’ Eric che ha le competenze ed i mezzi per verificare l’affidabilita’ di questi strumenti.
Per due settimane ha diligentemente raccolto tutti i dati possibili, con tutti i sensori immaginabili che raccogliessero i suoi parametri vitali, oltre alla dieta che seguiva. Ha addirittura spedito i suoi escrementi per un analisi del prodotto del suo sistema digestivo. Bene, la creme de la creme delle nuove applicazioni digitali gli ha raccomandato una dieta a base di salsicce, croissant, fragole, noci e cheesecake: praticamente un infarto che cammina.
Nel libro Deep Medicine, che raccomando, Topol descrive i pochi casi in cui sensoristica ed intelligenza artificiale riescono gia’ a dare risultati seri, quelli su cui ancora si sperimenta, e quelli che restano fuffa.
La mia preoccupazione e’ che in questo percorso si prenda la strada dell’Estonia, con il suo accesso ai dati sanitari direttamente ai pazienti, e si finisca per consentire un maggior controllo da parte di operatori di mercato nel campo delle assicurazioni, dei farmaci ed anche nell’industria alimentare. La promessa della democratizzazione del dato e’ sempre sintomo di fregatura.
Come detto in precedenza, credo convenga fare delle pause, e nascondere completamente alcuni lati della nostra vita rispetto all’invasione di queste innovazioni tecnologiche. Non c’e’ bisogno di una vocina che mi ripete ogni due minuti come appoggiare il piede mentre corro, come non abbiamo bisogno di un app che ci dica quanta frutta, verdura e proteine ingerire.
Facciamo piuttosto attenzione a tutte quelle innovazioni che portano piu’ guadagni alle multinazionali che benefici a noi stessi, e siamo particolarmente vigili nel non farci controllare.