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Il Report Mueller condizionerà le elezioni Usa del 2020

Il Report Mueller condizionerà le elezioni Usa del 2020

Quando Donald Trump fu eletto Presidente, il professor Angelo Codevilla (l’amico che, quando scrivo d’America, mi aiuta a separare il grano dal loglio) mi scrisse una mail in cui riprese un’analisi fatta quando “... Trump vinse le primarie rep perché dei 17 candidati era l’unico, con Ted Cruz, che offrisse l’opportunità di schiaffeggiare l’attuale classe dominante dem-rep”.

Aggiunse “E qui entrano in gioco i media devoti a costoro. Non hanno permesso all’elettorato repubblicano una scelta fra Cruz e Trump, convinti che nello scontro finale con l’avversario rep, Hillary Clinton avrebbe vinto facile, solo se ci fosse stato Trump”.

Una scelta suicida. Non avevano capito che il popolo americano non ne poteva più della triade Bill Clinton, George Bush, Barack Obama, un quarto di secolo di oscena  politica che ha impoverito classe media e povera togliendo loro ogni speranza di “ascensione sociale”. Senza meritocrazia l’America non esiste. Accuse di sessismo, omofobia e quant’altro ai “bianchi intellettualmente straccioni” (copyright del duo Hillary-Barack) da parte di una minoranza di superprivilegiati dai comportamenti personali molto discutibili divennero un programma politico. Codevilla definì “intellettualmente corrotta” questa classe dominante dem-rep, e concluse che qualunque candidato rep fosse stato opposto a Hillary avrebbe vinto. Così fu.

Che avvenne dopo l’ovvia elezione di Trump? I dem, anziché riflettere sulla sconfitta, dal giorno dopo iniziarono a elaborare un progetto di vendetta, ritenendo Trump usurpatore di un posto che spettava loro per volere divino. Obiettivo finale: arrivare all’impeachment. Intorno al lavoro del Procuratore Robert Mueller, si scatenò una campagna di stampa del house organ dei dem, (New York Times), e quello del grande nemico di Trump, Jeff Bezos (Washington Post) (Tra parentesi le sole fonti dalle quali si abbeverano i nostri corrispondenti del cartaceo e della tv). Si dava per scontata la colpevolezza di Trump. Finalmente Mueller ha dovuto chiudere le indagini e ammettere che non solo non c’era il “fumo” ma neppure la “pistola”. Nella democrazia americana è ancora valido il principio che si dev’essere colpevoli al di là di ogni ragionevole dubbio, e non come si sostiene nei salotti, che l’accusato, se populista, debba dimostrare di essere innocente al di là di ogni ragionevole dubbio. Ciò avviene solo nei regimi fascistoidi sognati dai radical chic newyorchesi e californiani per i loro avversari politici.

La risposta la si trova sull’unico media ancora affidabile, perché fuori dal coro clinton-obamiano, il Wall Street Journal, nel pezzo di Kimberly Strassell, grande esperto del Russiagate. Questi indica il dilemma vero della losca vicenda: Mueller riporta nel suo Report valutazioni sul lavoro fatto da FBI? Se sì, trattandosi di un colossale flop investigativo, si leggeranno cose sgradevoli e ci si chiederà “Cosa sapeva l’entourage obamiano?” Se non lo riporta, allora Mueller ha giocato un ruolo politico, e sarebbe imbarazzante per lui e per l’intera vicenda. E poi c’è un documento del Presidente Devin Nunes dell’Intelligence Committee del Congresso sulle indagini condotte dell’FBI non particolarmente positive.

Insomma siamo in presenza di un grande puzzle politico-legale-giornalistico inscenato dalla fazione radicale dei dem che condizionerà, in un senso o nell’altro, le elezioni del 2020. Perché una cosa è certa il Report Mueller e il ruolo di FBI per 18 mesi saranno il sale e il pepe della politica americana. Donald Trump ci sguazzerà?

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