Vita d'artista


Due anni per riflettere su una Biennale diversa

Il "Dear Art Lover", l’incipit tipico della mail solo in inglese proveniente dalle gallerie italiane chic, si è tramutato in "Dear Barbara", più colloquiale, più amorevole dopo il  Covid. La galleria up to date...

...parla d'altronde il linguaggio globale, ha più sedi (Londra, New York, Hong Kong)  e artisti rigorosamente internazionali. L’italiano è scomparso da un po’. E mi viene in mente che anche il Padiglione Italia alla Biennale di Venezia è scomparso da un po’ (o meglio, è finito all’Arsenale).

Circa vent’anni fa è stato cancellato da Harald Szeemann e da allora, nella sua ex sede storica e istituzionale al centro dei Giardini, viene organizzata la mostra del curatore, che in quell’ampio spazio centrale dovrebbe esprimere la sua più profonda concezione dell’arte di oggi.

La Biennale è nata nel 1893 per promuovere l’arte italiana nel mondo ma sembrerebbe che l’intento originario si sia perduto, come si sono perdute (dal 1999 ad oggi) le presenze degli artisti italiani nella mostra principale - nell’appunto ex Padiglione Italia, guarda l'ironia - presenze che si sono di fatto azzerate. Più che rigore nel credersi internazionale, questo della Biennale mi sembra un rigor mortis perpetrato al paese ospitante, cioè noi.

È di questi giorni la notizia che la Biennale di arti visive verrà posticipata al 2022: speriamo che in questi due anni di riflessione gli artisti italiani non debbano più finire  in fondo a destra e con zero presenze nell’evento più importante. Altrimenti sarà gioco forza attendere il post mortem (con obituary rigorosamente in inglese).

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