Mi ricordo lui in particolare perché fu molto gentile e intrattenemmo una divertente conversazione. Amavo il teatro, le poltrone rosse, le luci che si spegnevano gradatamente e una storia che iniziava, come l’incipit di un nuovo libro, sempre sorprendente. Tra gli sconti per studenti e il provvidenziale aiuto di Luisa Spinatelli, costumista della Scala e del Piccolo Teatro, che faceva entrare noi studenti all’ultimo minuto per riempire il teatro, mi feci in pochi anni una cultura. A teatro mi sentivo a casa, a tal punto da iniziare a lavorarci. Prima in teatro, poi la lirica, fino ad approdare a Canale 5.
Racconto di questo perché, pur avendo qualcosa visto negli ultimi tempi, onestamente non ricordo niente di memorabile fino all’altra sera, quando, invitata da Giuseppe Frangi al Piccolo Teatro per le celebrazioni del centenario di Giovanni Testori, mi è tornata quell’emozione giovanile. Poche volte si incontra nella vita una sintesi perfetta di forma e contenuto: le parole di Testori e la voce di Umberto Orsini, 89 anni di sapienza scenica, mi hanno tenuto col fiato sospeso. L’occasione era la lettura di alcuni brani di “Luchino”, uno straordinario ritratto di Visconti scritto da Testori, ritrovato solo qualche anno fa e riproposto con il commento e le note di Giovanni Agosti. In passato ho amato molto Orsini e mi ha colpito ancora la sua presenza forte e autentica, ma più di ogni altra cosa, la sua commozione nel leggere il ritratto di un grande regista come Luchino Visconti, con cui ebbe occasione di lavorare ( ad esempio ne “La caduta degli dei”) scritto per mano di un grande autore e anche amico. Una triangolazione perfetta.
Luchino Visconti fu un regista unico, eccezionale, ma ancor più eccezionale è il tributo che gli fa Testori. Poiché ci siamo disabituati all’uso così potente e creativo della lingua italiana, alla narrazione poetica dei nostri luoghi, al racconto pieno di amore ma anche di dolore della nostra storia, alla nebbia di Milano, al grigio del lago di Como, a quella darsena di Villa Erba di cui racconta l’autore parlando della “lombardità” di Luchino, Conte Visconti di Modrone. Forse a questi nostri grandi autori studiati e apprezzati ovunque tranne che qui, bisognerebbe tornare con fiducia e affetto, perché nella loro chiara libertà novecentesca ci possono ancora indicare la via, dandoci l’energia di una reazione al cupo magma del pensiero globale.
“La fatica. Ecco: Visconti è uno di quegli artisti che sanno come l’ispirazione significhi, per prima cosa, mettersi davanti a un tavolo e lavorare.”