Arriva poi la sera, accendo il televisore e capito sul ventiseiesimo canale: trasmettono «Stage mother», incredibile pellicola che tratta il difficile tema dell’accettazione all’interno delle famiglie. L’ultima scena mostra la madre che si esibisce in un gay bar cantando «Total eclipse of the heart» mentre su di lei viene proiettata l’immagine del figlio en travesti quando eseguiva lo stesso brano. Un’allure degna del finale de «Los abrazos rotos» di Almodovar, dove ritroviamo la capacità nel raccontare l’amore che rimane pure quando siamo separati dalla morte. Abbandonati i pensieri metafisici mi guardo attorno: sto comodo sul divano, circondato da una famiglia che ha accettato la mia identità, sono fortunato.
Ecco sì, io sono fortunato, perché rispetto ad altri ragazzi che hanno ricevuto astio, indifferenza, disprezzo e persino odio, a casa ho qualcuno che pensa per me. Fuori, fuori è la giungla, bullismo, violenze, discriminazioni: ma so dove tornare! Voglio allora fare buon uso di questa posizione privilegiata e dedicare le prossime righe alle parole di un caro amico, Franco Grillini. «Ancora oggi è indispensabile combattere l’omofobia perché i problemi ad essa collegati sono stati risolti solamente a macchia di leopardo. Persiste un pregiudizio che conduce certe famiglie meno comprensive ad assurdi tentativi di percorsi psichiatrici, i quali vorrebbero curare qualcosa da non curare, o peggio, al cacciare via di casa le figlie e i figli omosessuali. Disponiamo di report, come quello realizzato da ILGA, che descrivono l’Italia agli ultimi posti in Europa nell’ottica del rispetto dei diritti umani delle persone LGBT. A cinquant’anni dalla depatologizzazione dell’omosessualità presso l’American Psychological Association, dovremmo “darci una mossa” nel creare le giuste tutele normative per tutti quanti».