Vita d'artista


Artieri

Alle volte nelle conversazioni con gli amici artisti si sentenzia un po’ sul lavoro dei colleghi.  Una frase tipica, tra il serio e il faceto, è che quel tal pittore abbia fatto un solo quadro in vita sua, anche se naturalmente non è così e di quadri ne ha fatti molti di più: semplicemente una volta scoperta quella particolare idea, che ha avuto un certo riscontro, l'ha adottata per molto tempo, con qualche minima variazione sul tema. Visto che non tutti... 

...hanno il genio di Giorgio Morandi, ciò può significare che accondiscendono a produrre un lavoro di tipo seriale per un mercato tradizionale e generalmente un po’ conservatore, un mercato che gli richiede e gli commissiona un manufatto simile, se non uguale, ogni volta. Come dargli torto? Anche gli artisti devono mangiare. Invece per alcuni altri è semplicemente un modo per essere riconoscibili, perché adottando uno stesso cliché per un tempo lungo, si creano una certa nicchia, solida. Achille Bonito Oliva, a suo tempo inventò un neologismo, definendoli degli “artieri”…

Personalmente, io non ce la faccio. Quando inizio a capire che sto ripetendomi, comincio ad allontanarmi da ciò che faccio, anche se non è poi così male, perché non è mai un problema di natura tecnica. Semplicemente dopo un po’ di tempo sento le mie opere "stanche", sento che hanno perso vitalità e freschezza e che non sono più aderenti a ciò che io sono. Non mi è mai riuscito di lavorare sulla stessa tematica per più di un lustro: arriva il momento in cui mi annoio e la mia inquietudine mi porta a divagare e a cercare nuovi spunti, a rinnovare la pittura. Lo stesso accade per i miei riferimenti artistici, che sono stati vari e numerosi e che, a dir la verità, abbracciano tutta la storia dell’arte. Anche coloro che mi seguono, cambiano, a seconda dei periodi che ho sperimentato. Pochi collezionisti infatti sono così devoti da accogliere ogni cambiamento con la stessa sensibilità, così accade che alle volte, a differenza degli artisti citati prima, io non venga riconosciuta. Questo è un problema per il mercato, ma cosa posso farci?

Mi viene in mente una frase di Mark Rothko, nel suo "L’artista e la realtà": “In seguito alla scomparsa del mecenate spirituale e temporale, la storia dell’arte è la storia di uomini che hanno in gran parte preferito la fame alla remissività, ritenendo che la scelta valesse la pena. E si tratta di una scelta vera e propria, se teniamo in considerazione la distanza tragica che separa le due possibilità.”


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In questo numero hanno scritto:

Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite