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Imbarazzo mediorientale

I successi e fallimenti dell’amministrazione Trump sono oggetto di dibattiti molto contesi tra democratici e repubblicani, ma sulla performance mediorientale c’è un buon grado di consenso. Mandando avanti l’improbabile genero Jared Kushner, spostando l’Ambasciata USA a Gerusalemme, riavvicinando Israele a parecchi stati arabi, rallentando Bibi Netanyahu sul programma di annessione, è riuscito dove nessun’altro prima di lui era arrivato. I competenti, che all’inizio dicevano che non si gestisce il conflitto mediorientale come un bazaar, son tornati col loro tappetino tra le gambe.

Biden sapeva che... 

... l’equilibrio era fragile, che i rapporti tra arabi ed ebrei israeliani sono delicatissimi, che Netanyahu non si fida di lui, ed ora che è esploso il conflitto armato, non sa che pesci pigliare. Hamas tira migliaia di missili, dimostrando di avere capacità produttive e logistiche importanti. Israele ha una forza militare devastante, ma ogni volta che uccide donne e bambini l’opinione pubblica araba ed internazionale sobbalza. Gli stati arabi che avevano siglato rapporti con Israele si son nascosti, l’amministrazione americana fa dichiarazioni da equilibrista, e spera in bene. Gli energumeni della regione, Putin e Erdogan, giocano a far dichiarazioni bellicose provando invano a rallentare l’attacco israeliano. Ma Netanyahu ha il vento in poppa: 160 bombardieri ad asfaltare tutto quanto collegato al nemico, e se ogni tanto si ammazzano dei bambini, sembra non preoccuparsi troppo.

A New York, dove risiede la comunità ebraica più grande del Paese con un milione di persone, equivalente al 13% della popolazione cittadina, le dimostrazioni sono imponenti, rumorose e violente. L’uccisione di donne e bambini fa litigare anche diversi gruppi della comunità ebraica, ma a differenza delle volte precedenti, sono molti quelli che chiedono a gran voce l’annientamento di Hamas, costi quel che costi. Nelle rivolte del passato, dove i palestinesi avevano fionde, coltelli e qualche arma leggera, il consenso generale era che l’esercito israeliano dovesse contenere al massimo le morti dei civili. Tra Davide e Golia il tifo è sempre per il primo. Ma ora che Hamas ha tirato 2000 missili e ne ha altri 4000 pronti a partire, ora che la gente deve scappare dalle spiagge di Tel Aviv e che non dorme di notte tanti sono gli scoppi tra missili d’attacco e quelli da difesa, la narrazione cambia. Anche i democratici appoggiano il diritto alla difesa robusta di Israele, e Biden l’ha dovuto annunciare pubblicamente.

Allo stesso tempo Biden non può perdere l’appoggio dei paesi mediorientali, perché l’avversario Cinese è pronto a conquistare con vaccini e contratti commerciali. Le ingenti vendite di armi, che Trump aveva sparso dalla Turchia all’Arabia Saudita, ora diventano delicate. Pensa mai se un missile americano fosse sparato su Israele: un guaio. Ma se il missile fosse cinese, sarebbe peggio. In questa tragedia umana l’opinione pubblica americana è molto mobile: ovviamente l’abbattimento del virus e la ripresa dell’economia sono prioritari, ma Biden non può permettersi di perdere il medio oriente. E’ in un vicolo cieco: da un lato deve appoggiare il diritto di Israele a difendersi, dall’altro nessuno può accettare le immagini che arrivano da quei territori.

Per Zio Joe è arrivata l’ora di andare al bazaar, di inventarsi battitore di tappeti.


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In questo numero hanno scritto:

Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite