Tecnosofia


Quale software per l’alleato?

Il software del nostro alleato digitale, la personal AI che ci aiuterà pressoché in tutto nella vita, sarà diverso da quello degli smartphone.

Partiamo dal sistema operativo, che è abilitante dell’esecuzione delle applicazioni regolando il rapporto tra utente e hardware. Con l’affermazione degli smartphone si è arrivati a un sostanziale duopolio tra IoS, sistema operativo di Apple, e Android, fornito in licenza da Google a molti altri operatori. 

Qui è auspicabile per l’alleato sviluppare un sistema operativo tagliato sulle sue applicazioni. Il sistema operativo dovrà consentirci di attivare o disattivare i numerosi sensori attraverso cui l’alleato digitale si alimenterà di dati, di connetterci ad altri dispositivi analoghi (es. gruppi di lavoro, classi di studenti), di installare le app che desideriamo e solo quelle.

Nel regime di duopolio attuale, esiste un vaglio operato dai gestori dei negozi di app (Apple Store, Google Play Store) che limita il numero di app approvvigionabili a quelle da loro scelte (poco meno di mezzo milione di app per Apple Store e di 3,5 milioni per Google Play Store).

Le app dell’alleato dovranno essere sicure, appartenere a una comunità integrabile ed essere mirate alla nostra formazione e benessere, all’affiancamento e all’aumento delle nostre facoltà e prestazioni cognitive. Non ha qui senso inseguire il mercato proprio delle app degli smartphone, quanto accedere ai dati che la rete fornisce esercitando la funzione di intermediario tra noi e la rete. I software e le basi dati potranno essere integrate per approfondimenti verticali nella formazione (software specifici per gli insegnamenti) o nel lavoro (software per la sicurezza sul lavoro, la gestione operativa di mansioni, ecc.).

I dati registrati e generati dall’alleato digitale dovrebbero poi restare prioritariamente in locale tranne quando l’utente autorizzi la loro trasmissione altrove. La massa di dati sensibili accumulati in lunghi periodi di tempo è però incompatibile con l’accumulo esclusivo dei medesimi sulle memorie residenti. Per questo occorrerà contare su sistemi cloud sicuri e certificati, come pure su sistemi di criptazione dei dati e della loro trasmissione.

Tutti i dati e i metadati (es. come e quando si è interagito con il software) dovrebbero rimanere nostro patrimonio, fino a nostra decisione contraria, magari per contribuire a iniziative collettive. In quest’ambito lo Stato dovrà in questo caso svolgere un’azione di guida di alcuni degli sviluppi in modo diretto, specialmente quelli associati alle funzioni formative e sanitarie. Proprio dalla messa in comunicazione dei dati associati alle app didattiche di diversi individui sarà possibile avere dati per migliorare continuamente i metodi e programmi didattici. Per alimentare questi processi di apprendimento federato (federated learning) è opportuno standardizzare per quanto possibile le app o quanto meno porre ai loro sviluppatori condizioni precise per potere ricavare dai processi formativi dati coerenti da studente a studente.

Ma chat-GPT potrà opportunamente far parte del nostro alleato digitale? Ne parliamo la prossima volta!

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Zafferano

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In questo numero hanno scritto:

Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Emanuel Gazzoni (Roma): preparatore di risotti, amico di Socrate e Dostoevskij, affascinato dalle storie di sport
Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Guido Saracco: già Rettore Politecnico di Torino, professore, divulgatore, ingegnere di laurea, umanista di adozione.