IL Cameo


Letterina di Natale a Volodymyr e a Vladimir (per conoscenza a Donald)

Dall’alto dei miei novant’anni, vissuti intensamente in giro per il mondo, ho scritto questa ballata. La dedico a voi tre, fatene quel che volete.

Vi ringrazio per l’attenzione.

Ballata di Natale 2024

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Vladimir e Volodymyr sono morti.

Morti come può morire un Tamerlano.

Pugnalati alla schiena, mentre lanciavano

Frecce radioattive contro un cielo avverso.


Nella steppa infinita del Donbass, accanto al pigro Donec,

Emersero piramidi di giovani teschi,

Senza nome, senza passato, senza futuro.

Nessun giovane teschio sarà mai sale della terra.


Se in guerra esiste solo il presente,

Se il mattino è l’illusione di un giorno sempre più corto,

Solo un buio feroce placa notti infinite.

Senza poesia la guerra mai giungerà all’ultimo verso.


Nessun comandamento ci aiuta a eludere la realtà,

Chi uccide ha sempre colpa, comunque.

Chi porta in guerra il proprio popolo,

Dal popolo subirà la giusta vendetta, comunque.


All’improvviso, i due sovrani si videro.

Il sole era ormai basso sulla steppa.

Si riconobbero, come succede a quelli appena morti.

Avevano gambe tozze, come i kapò dei gulag.


L’intreccio di crimini presenti e passati non può mai essere verità.

Il libero arbitrio è solo libera illusione, per gonzi.

Nella steppa le parole umane hanno suoni infami,

Di vite vissute e subito perse, senza dignità.


Vladimir e Volodymyr lentamente si avvicinano.

Si accucciano alla maniera dei tatari, senza neppure un cenno.

In silenzio accendono un fuoco.

Tacciono, come sempre succede ai viandanti al tramonto del sole.


I loro occhi si incrociano, il fuoco sbracia, eccitato.

Entrambi lasciano cadere il pane prossimo alla bocca.

Per primo parla l’ex attore. L’ex KGB tace,

Forse non si è ancora abituato alla lingua dei morti.


“Sei pentito di avermi fatto pugnalare dal sicario ceceno?

Ti rigiri ogni sera nella penombra che precede il sonno?

Sapevi che sarei morto mischiato alle agonie dei miei soldati,

Che per te ho mandato a morire nel fetore di una trincea?”


“No” dice l’ex spia “Vivevo nel mio bunker senza specchi,

Sempre in preda all’ira, con mani tremanti esploravo le mie rughe,

Odoravano di cenere. Ero prigioniero del mio immenso potere,

E di una crudele ambizione, l’Impero, che mi avrebbe tradito”.


“Ci quieteremo dopo un incontro da morti nella nostra steppa?

Anche se Caino sarai sempre tu, e io sempre Abele.

Nei libri di storia mai si capirà chi ha iniziato a uccidere chi.

Da vivi eravamo nemici mortali, da morti siamo tornati fratelli, russi”.


“Vladimir, buonanotte, io ho dimenticato tutto”.

“Grazie Volodymyr, allora mi hai perdonato!

Perché dimenticare è come perdonare.”

“Vladimir, solo finché dura il rimorso dura la colpa!”


La guerra è finita, la ricostruzione può cominciare.

Nulla si edifica sulla pietra, tutto sulla sabbia.

Ma noi dobbiamo edificare come se la sabbia fosse pietra.

Lo sosteneva Jorge Luis, il poeta cieco che vedeva oltre.


E non gli diedero neppure il Nobel.

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Christmas Card to Vlad and Vlad - cc The Donald

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Ballad for Christmas 2024

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Vlad and Vlad are dead.

Dead like only a Tamerlane could be.

Stabbed in their backs, when they were ready

to launch nuclear arrows into the enemy sky.


Now in the vast Donbass steppe, next to the lazy Donec,

We see young skulls emerge like pyramids,

With no name, no past, no future.

No young skull ever pollinates the soil.


If only the present matters during war,

If the morning is the illusion of an ever-shorter day,

Only the fierce darkness calms ever-lasting nights.

Without poetry, war never reaches the end.


None of the commandments helps us avoid reality,

Whoever kills is at fault, always.

Whoever brings war to his people,

The people will take revenge against.


At once, the two dictators saw each other.

The sun was already low on the steppe.

They recognized each other, like only dead do.

They had thick legs, like kapo’s in gulags.


Meddling present and past crimes never brings truth.

Free will is just an illusion, for the dumb.

On the steppe human words sound ugly,

Like lives lost too quickly, with no dignity.


Vlad and Vlad slowly approach.

They knee down, like tartars do, in unison.

In silence the start a fire.

They don’t say a word, like travelers do at sunset.


They eye’s cross, fire crackling, excited.

They both drop the bread, so close to their mouth.

The former actor speaks first, the KGB spy listening.

He’s not used to the language of the dead, yet.


Are you sorry for having a Chechen assassin stab me?

Do you tumble in bed, in the dark before the sleep?

You knew I would die mixed up with my soldiers,

That for you I sent to die in those stinky trenches?


“No” says the old spy, “I lived in my bunker with no mirrors,

Always angry, my trembling hands exploring my wrinkles,

I smelled like ashes. Prisoner of my own immense power,

And of cruel ambition, the empire that would betray me”.


“Will we calm down after meeting dead on our steppe?

Even if you’ll always be Cain, and I Abel.

In future history books no one will understand who started first killing.

Alive we were mortal enemies, as dead we have become brothers again,

Russians.”


“Good night, Vlad, I forgot everything”

“Thank you, Vlad, so you forgive me!

Because to forget is to forgive.”

“Vlad, guilt lasts only for the time of remorse.


The war is over, reconstruction can start.

Nothing is built on rock, only on sand.

But we need to build like if it was rock.

That is what Jorge Luis said, the Czech poet who saw beyond.


And they didn’t even awarded him the Nobel.


(traduzione di Roberto Dolci)

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